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Informazione al pubblico, formazione di medici e farmacisti, creazione di Unità ospedaliere dedicate per combattere la denatalità che affligge l’Italia

Il Piano Nazionale per la Fertilità, presentato a fine maggio dal Ministro Beatrice Lorenzin, arriva al momento giusto. Istituito il “Fertility Day”, che dal 2016 sarà celebrato ogni 7 maggio, ecco il bilancio della situazione italiana. L’opinione pubblica non sembra essere sufficientemente informata e soprattutto interessata ai dati di denatalità del nostro paese (1,39 figli per donna) né alle cause. I motivi appaiono riconducibili in gran parte al ritardo con cui le coppie cercano una gravidanza: le oggettive difficoltà di gestione di una famiglia mononucleare, in cui entrambi i genitori lavorano, hanno di fatto spostato in avanti di una decina di anni l’età media del primo concepimento.

Ed è questo un punto cruciale: spesso il consulto del medico, per le coppie che non riescono a procreare, viene chiesto tardi, quando le possibilità di correggere alcune patologie che ostacolano il concepimento sono ridotte al minimo. Le difficoltà, è stato confermato, sono equamente ripartite tra cause femminili e maschili, con un residuo 20% di origine mista. Senza contare che proprio l’età è di per sé un fattore sfavorevole, che incide negativamente sia sulla quantità, sia sulla qualità dei gameti femminili e maschili.

Ecco perché, in Italia, si stima oggi che una coppia su cinque (il 20%) abbia problemi di fertilità. Nel Piano Fertilità, infatti, è prevista prima di tutto la creazione di Unità ospedaliere dedicate a “Medicina e chirurgia della Fertilità”, che avranno anche il compito di tutelare la fertilità dei pazienti oncologici. In prima linea saranno però i Consultori e i medici di famiglia, che dovranno essere aggiornati e formati per ascoltare e indirizzare correttamente le coppie. Infine, saranno coinvolti con corsi dedicati anche i farmacisti.

Per le coppie che si troveranno ad affrontare un percorso di PMA, va ricordato che la Legge 40, non è più quella redatta nel 2004. A metà maggio è caduto l’ultimo ostacolo, che prevedeva il divieto di fecondazione eterologa e diagnosi preimpianto alle coppie fertili, ma portatrici di malattie genetiche. Nel caso della PMA eterologa, ora si tratta di adeguare i Centri, soprattutto pubblici, a fare fronte alle richieste, garantendo la disponibilità di ovociti, seme maschile e di diagnosi pre-impianto necessarie. Finora, sono i Centri privati convenzionati, che fanno riferimento al Cecos (Centri Studio e Conservazione Ovociti e Sperma Umani) a dichiarare di essere tutti pronti, grazie anche all’acquisto di gameti, soprattutto femminili, da banche estere.

Com’è noto, è proprio la disponibilità di ovociti a essere irta di ostacoli, perché l’iter è piuttosto complesso, a iniziare dai limiti di età stabiliti e che pongono la “forbice” delle donatrici tra 20 e 35 anni. Ma i passi successivi, che implicano sia iperstimolazione ovarica, sia il recupero degli ovociti con un intervento da effettuare in regime di sedazione, non sono abbastanza noti a livello di opinione pubblica e spesso scoraggiano molte giovani volontarie, che arrivano ai Centri PMA senza un’adeguata informazione. Anche su questo fronte, il Piano Nazionale Fertilità dovrà prevedere campagne informative mirate per le potenziali donatrici nazionali.

Non solo: un ulteriore nodo da sciogliere riguarda l’istituzione e la gestione di un Registro Nazionale dei Donatori. Infatti, per ora, i dati dei donatori (sia per la PMA omologa, sia per quella eterologa) vengono richiesti dal Centro Nazionale Trapianti (CNT) e non sono, com’è previsto, affidati in esclusiva ai Centri PMA, pubblici o privati convenzionati. L’Avvocato Filomena Gallo che, per contro dell’Associazione Coscioni di cui è Segretario, ha da sempre seguito le vicende della Legge 40/2004, sottolinea: «Il CNT sta richiedendo, ai Centri PMA, dati sensibili quali il Codice Fiscale in chiaro dei donatori, oppure altri elementi relativi ai neonati, che non assicurano, come dovrebbe essere, il loro totale anonimato. Inoltre affidare il Registro al CNT comporta oneri aggiuntivi, che non ci sono lasciando ai PMA tutte le competenze».