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Gli ultimi dati dell’ISS Istituto Superiore di Sanità indicano che in Italia 1,8 milioni di donne in età riproduttiva convivono con l’endometriosi. Si tratta di una patologia cronica e invalidante, come riconosciuto anche dal Parlamento nel 2023.

L’endometriosi, in particolare il dolore, può avere un enorme impatto sulla qualità della vita, sul funzionamento fisico, sulle attività di tutti i giorni e sulla vita sociale, sulla salute mentale e sul benessere emotivo. Tuttavia, la malattia è sotto-diagnosticata e le statistiche indicano che il tempo medio per una diagnosi corretta è di circa 7 anni, per via della natura poco specifica dei sintomi.

Ma alcuni studi recenti evidenziano un’incidenza crescente di casi diagnosticati, anche grazie a una maggiore consapevolezza della malattia

Uno degli aspetti su cui impatta la patologia è la qualità ovocitaria. Ne abbiamo parlato con il Dottor Fulvio Cappiello, ginecologo, responsabile del Centro di Procreazione Medicalmente Assistita – Gametica Clinica Mediterranea di Napoli.

Cos’è l’endometriosi e come viene classificata?

L’endometriosi è una condizione infiammatoria cronica estrogeno-dipendente che colpisce le donne nel loro periodo riproduttivo causando infertilità e dolore pelvico.

L’endometriosi è eterogenea e comprende diverse entità anatomiche come:

  • Endometriosi ovarica
  • Endometriosi peritoneale
  • Endometriosi infiltrante profonda

Mentre la prevalenza stimata dell’endometriosi è del 6%-10% nella popolazione femminile generale (in Italia 1,4% della popolazione femminile tra i 15-50 anni), si stima che il 35%-50% delle donne infertili sia affetto da questa patologia.

La comunità scientifica ha elaborato alcuni sistemi di classificazione standard e lo stadio dell’endometriosi è derivato da un punteggio cumulativo. Secondo la classificazione della American Society for Reproductive Medicine il sistema di valutazione considera le dimensioni delle lesioni endometriosiche nelle ovaie, nel peritoneo e nelle tube di Falloppio e la gravità delle aderenze in ciascuno dei siti sopra menzionati. l sistema di staging è stato suddiviso in quattro fasi:

  • I (da 1 a 5 punti, lieve),
  • II (da 6 a 15 punti, moderato)
  • III (da 16 a 30 punti, grave)
  • IV (da 31 a 54 punti).

Il punteggio ENZIAN è determinato dall’estensione dell’endometriosi evidenziata durante l’intervento chirurgico. La gravità della lesione è impostata su:

  • invasività < 1 cm per il grado 1
  • invasività da 1 a 3 cm per il grado 2
  • invasività > 3 cm per il grado 3.

Il sistema EFI ha come obiettivo di prevedere il tasso di gravidanza in pazienti con endometriosi documentata chirurgicamente che non hanno effettuato tentativi di gravidanza con la fecondazione in vitro (FIV). Il punteggio EFI viene calcolato sommando i punteggi storici e chirurgici e varia da 0 a 10 punti, dove 10 indica la prognosi migliore e 0 la prognosi peggiore.

Come riconoscere l’endometriosi?

I sintomi più comuni sono: forti dolori mestruali, dolore pelvico, dolore nei rapporti sessuali, flusso mestruale abbondante, infertilità, dolore nella minzione, costipazione o diarrea, depressione.

L’infertilità associata all’endometriosi può essere spiegata da diversi meccanismi non esclusivi:

  • Disfunzione delle tube di Falloppio
  • Infiammazione cronica della cavità pelvica, che può interrompere la sopravvivenza e la fecondazione dei gameti,
  • Interruzione dei processi fisiologici dell’impianto
  • Difetti immunologici
  • Anomalie ovariche (alterazione della quantità e/o qualità dell’ovocita, potenziale alterazione del microambiente ovocitario in donne affette da endometriosi correlata ad una variazione del profilo di espressione delle citochine)
  • È ampiamente dimostrato che la qualità degli ovociti possa essere un fattore importante di infertilità in queste pazienti.
Come si può studiare la qualità degli ovociti?

I fattori da considerare sono:

  • Alterazione della steroidogenesi
  • Alterazione dell’ambiente intrafollicolare
  • Cambiamenti morfologici generali
  • Anomalie del fuso mitotico
  • Compromissione della struttura mitocondriale

Si tratta di processi fisiologici molto complessi, che non descriveremo in dettaglio in questa sede, ma che danno l’idea di quanto ampio possa essere l’impatto dell’endometriosi su questi meccanismi e, di conseguenza, sulla qualità degli ovociti.

Qual è l’approccio più appropriato per la gestione dell’endometriosi?

La gestione dell’endometriosi deve tenere conto del fatto che la malattia è cronica e coinvolge il sistema riproduttivo. Di conseguenza, il trattamento e la consulenza dovrebbero mirare a preservare le possibilità di gravidanza per la paziente, anche se non è associata all’infertilità.

Da un recente studio condotto da ricercatori italiani emerge che nella maggior parte dei casi (94,2%) si ricorre alla crioconservazione degli ovociti per ragioni legate all’età, solo nel 2,1% dei casi per ragioni legate all’endometriosi.

La preservazione della fertilità attraverso la crioconservazione potrebbe rappresentare una valida opzione terapeutica per le donne affette da endometriosi che sono a rischio di progressione della malattia o necessitano di un intervento chirurgico per aumentare le loro future possibilità riproduttive.

 

Fonti:

  • ISS Istituto Superiore di Sanità. Endometriosi: più di 1.800.000 donne convivono in Italia con una diagnosi. Ultimo accesso: marzo 2025.
  • Giudice e Kao, 2004
  • Practice Committee of the American Society for Reproductive Medicine, 2004
  • Garrido N. et al. Follicular hormonal environment and embryo quality in women with endometriosis. Hum. Reprod. Update 6, 67–74 (2000)
  • Garrido, N., Pellicer, A., Remohi, J. & Simon, C. Uterine and ovarian function in endometriosis. Semin. Reprod. Med. 21, 183–192 (2003).
  • Coccia ME, Nardone L, Rizzello F. Endometriosis and Infertility: A Long-Life Approach to Preserve Reproductive Integrity. Int J Environ Res Public Health. 2022 May 19;19(10):6162. doi: 3390/ijerph19106162. PMID: 35627698; PMCID: PMC9141878.

Mi chiamo Giulia, ho 35 anni. Ho una carriera ben avviata e promettente, una rete di solide amicizie, viaggio spesso per lavoro e per piacere. Finora non mi sono sentita pronta per diventare mamma, ho investito molto nella mia professione ma, soprattutto, non ho ancora incontrato la “persona giusta” con cui costruire una famiglia. Non escludo di diventare mamma in futuro, ma inizio a pensare che forse potrebbe essere già troppo tardi, alla mia età le probabilità di concepire un figlio iniziano a diminuire. Ne ho parlato con le mie amiche e una mi ha chiesto se non ho mai pensato alla crioconservazione degli ovociti, il cosiddetto social freezing.”

Per capire meglio in cosa consiste il social freezing ne abbiamo parlato con il Dottor Fulvio Cappiello, ginecologo, responsabile del Centro di Procreazione Medicalmente Assistita – Gametica Clinica Mediterranea di Napoli.

Cos’è il social freezing?

Per social freezing intendiamo il congelamento volontario da parte di una donna dei propri ovociti.

È una tecnica di crioconservazione degli ovociti che consente alle donne di preservare la propria fertilità per il futuro. Il processo prevede una fase di stimolazione ormonale, per facilitare lo sviluppo degli ovociti. Tali ovociti vengono poi prelevati, congelati e conservati in azoto liquido a -196°C.

In quali casi si effettua il social freezing?

Il social freezing si effettua in tre casi: per ragioni mediche, in caso di patologie oncologiche o per motivi cosiddetti sociali.

Normalmente le ragioni mediche riguardano quelle pazienti che presentano una patologia ovarica benigna come l’endometriosi che, soprattutto nelle donne molto giovani, può danneggiare l’ovaio e quindi il potenziale di fertilità di queste ragazze.

In una donna che deve essere sottoposta ad un intervento chirurgico per asportare delle cisti endometriosiche all’ovaio si effettua un congelamento pre-chirurgico degli ovociti. Si induce l’ovulazione, si prelevano gli ovociti e si congelano, per poi conservarli in azoto liquido. Poi si procede con l’intervento chirurgico. Questo perché quando si effettua un intervento – anche in laparoscopia – di asportazione di cisti endometrosiche sull’ovaio, inevitabilmente andiamo anche ad asportare una quota di tessuto ovarico sano e quindi a ridurre sensibilmente la fertilità di quella donna.

In caso di patologia oncologica

Il secondo caso, più importante ma anche più particolare, è quello dei casi di patologia oncologica. Al momento possiamo consigliare il social freezing a quelle donne giovani che purtroppo incorrono in carcinomi della mammella o in carcinomi ovarici. È importante sottolineare che sono state studiate almeno 2 – 3 tipi di terapia che possiamo effettuare in queste donne; esse non possono eseguire le terapie standard che effettuiamo nelle donne che fanno un ciclo di fecondazione in vitro, ma hanno bisogno di una struttura farmacologica particolare. Questo per evitare che, quando si induce l’ovulazione e si procede con il prelievo degli ovociti, si interferisca con la loro situazione oncologica.

Per scelta personale

Un terzo motivo per ricorrere alla crioconservazione degli ovociti, e sul quale si dibatte molto, è quello cosiddetto “sociale”. Si tratta di donne che in giovane età, 25-30 anni, decidono di congelare i propri ovociti per poi procrastinare la gravidanza. Normalmente la donna fa questa scelta per diversi motivi: perché vuole consolidare la sua la sua posizione economica, la sua posizione lavorativa, e magari vuole anche una maggiore stabilità affettiva. Non tutti concordano su questo approccio “sociale” alla crioconservazione degli ovociti, essenzialmente per motivi etici. Mi sembra interessante segnalare che negli Stati Uniti alcune aziende importanti come Apple e come Meta considerano il congelamento degli ovociti come n benefit per le proprie dipendenti. Sicuramente è un fenomeno sociale che sta prendendo piede più nel Paesi del Nord Europa, in America e in Australia, ma sicuramente è un nuovo modo di vedere la propria fertilità.

Esistono dubbi sulla crioconservazione degli ovociti?

Non sulla tecnica, ma la comunità scientifica sta ancora definendo alcuni criteri. Ad esempio, non ha ancora definito quale sia il numero “esatto” di ovociti da congelare, quindi non possiamo dire a una donna di congelarne 15, 20 o 30. Allo stesso tempo, trattandosi di una tecnica in uso da tempi relativamente recenti, attualmente non abbiamo numeri statisticamente significativi sulle gravidanze ottenute da donne che, ad esempio, hanno raggiunto i 40 anni, scongelato i loro ovociti congelati a 30 anni.

Dove si può effettuale la crioconservazione degli ovociti?

Questa tipo di tecnica a scopo “sociale” viene svolta nella maggior parte dei centri privati italiani di procreazione medicalmente assistita. La crioconservazione degli ovociti a scopo medico, invece, viene effettuata soprattutto nei centri pubblici di PMA. In Campania, ad esempio, c’è un’ottima rete di oncofertilità negli ospedali che si occupano di fecondazione in vitro.