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Le tecniche di PGT (Preimplantation Genetic Testing, Diagnosi Genetica Preimpianto) devono essere utilizzate seguendo dei criteri condivisi dalla comunità scientifica e contenuti nelle Linee Guida Internazionali (ad esempio, quelle della ESHRE, European Society of Human Reproduction and Embryology).

Ne parliamo con il Dottor Antonio Mangiacasale, ginecologo, Responsabile Clinico del CRA – Centro Riproduzione Assistita di Catania.

Le indicazioni alla PGT-A

Senza dubbio la PGT-A è un’indagine molto utile e con un alto profilo di sicurezza. A differenza della PGT-M e della PGT-SR, indicate in coppie e pazienti portartici di patologie o anomalie cromosomiche, la PGT-A non è riferita ad alcuna patologia specifica. Questo non deve indurre a utilizzarla indistintamente su tutte le donne che si affidano alla procreazione medicalmente assistita, va comunque impiegata secondo delle indicazioni ben precise.

La diagnosi preimpianto è comunque un’indagine invasiva per l’embrione, seppure a basso rischio; quindi, il suo utilizzo non va generalizzato. Le Linee Guida ESHRE puntualizzano quali siano le categorie di pazienti per le quali è indicato l’utilizzo della PGT-A.

Pensiamo ad esempio alle pazienti over 38, nelle quali il rischio di aneuploidie è aumentato per l’abbassamento fisiologico della qualità ovocitaria; o alle pazienti con ripetuti fallimenti o con aborto ricorrente; o ancora a uomini con una situazione seminale gravemente compromessa, che aumenta il rischio di aneuploidie.