Autore: Redazione

A fianco del medico, lo psicologo è una figura importante per supportare e assistere le coppie durante l’iter diagnostico-terapeutico previsto per la procreazione medicalmente assistita

 

Le coppie giungono ad un centro attrezzato per la procreazione medicalmente assistita (PMA) in seguito al tentativo ripetuto e fallito di realizzare e/o portare avanti, in maniera naturale, una gravidanza. Sul fronte del vissuto psicologico la coppia si trova a confrontarsi con un desiderio – per il momento disatteso – di avere figli, minato dal timore di non potere realizzarlo mai.

Poter ACCOGLIERE la coppia, fin dai primi momenti, anche sul piano psico-emotivo significa alleggerirla di un carico che altrimenti rischia di ostacolarla nelle fasi successive del percorso di PMA.

La consulenza psicologica ha come obiettivo quello di aiutare la coppia ad accettare il primo fallimento procreativo, quello naturale, e di sostenerla nella prospettiva di ricorrere ad un intervento specialistico che – in prima battuta – prevederà una fase d’indagini mediche. La coppia, in questa fase iniziale delicata, è turbata da un sentimento ambivalente: da un lato è spinta a procedere con le indagini per poter risolvere il problema che gli impedisce di avere un bambino, dall’altro è bloccata dalla paura di ricevere una diagnosi infausta di no potere avere figli del tutto e quindi di perdere la speranza di una genitorialità. Lo psicologo, in questa fase, gioca un ruolo chiave per supportare la coppia, aiutandola a riconoscere tali paure e contraddizioni e normalizzandole nell’ambito di un percorso emotivo che attraversa varie fasi.

Un’altra fase delicata è quella della comunicazione della DIAGNOSI, in cui sarà importante osservare le reazioni della coppia e sostenerla sulle proposte e sulla scelta delle soluzioni. È questo il momento in cui può essere necessario prendere in considerazione e confrontarsi sulla possibilità di strumenti alternativi alle tecniche di PMA, come l’affidamento e l’adozione. Attraverso i colloqui lo psicologo può cercare di cogliere le preoccupazioni che si celano dietro alcune domande, deve saper distinguere le paure fisiologiche da quelle psicologiche, fino ad individuare – se esistono – vere e proprie “resistenze” psicologiche nei confronti della diagnosi e/o dell’intervento proposto. Fondamentale per lo psicologo è riuscire a cogliere l’autenticità dell’accordo espresso dai 2 partner, individuare se uno dei 2 spinge o se uno dei 2 resiste, cercando di comprendere quali motivazioni soggiacciono a tali atteggiamenti.

In questa fase la consulenza psicologica può esaurirsi con un colloquio quando la coppia, decisa e consapevole, ha semplicemente bisognoso di sentirsi rassicurata su qualche aspetto, oppure, potrebbe richiedere più incontri necessari a fare chiarezza su eventuali titubanze riguardo al desiderio di procedere, sulle modalità e sulle tempistiche. Compito dello psicologo è quindi quello di rassicurare la coppia ponendo l’accento sul fatto che porsi interrogativi durante le fasi di certi percorsi è del tutto normale e soprattutto è garanzia di un atteggiamento responsabile: una coppia che sente il bisogno di confrontarsi su alcune tematiche è difatti una coppia matura e ciò rappresenta già una risorsa importante per la stessa; molto peggio è il caso in cui invece una coppia nasconda, trattenga o addirittura neghi – a sé stessa e al partner – , bisogni, dubbi e incertezze per paura di perdere troppo tempo o addirittura di scoprire le proprie autentiche motivazioni. Il detto “i nodi vengono al pettine” esprime bene ciò che realmente avviene: non si può fingere di desiderare una cosa per mancanza di coraggio, per il carattere talvolta troppo accomodante o per paura di ferire il/la partner; mente e corpo non sono 2 realtà scindibili, bensì fanno parte l’una dell’altro e quindi prima o poi bisognerà fare i conti con un corpo che non mente e che parla fino a tradire talvolta sé stessi.

Un malessere generalizzato, nonché l’insorgenza di un disturbo psicologico e/o psichiatrico sono sintomi di un corpo che non è in armonia con i bisogni della mente. Un buon lavoro psicoterapico può sbloccare certe “frasi non dette”, portare alla coscienza e alla consapevolezza un’emozione o un vissuto rimasti bloccati dentro sé stessi fino ad aiutare la persona a stare meglio dal punto di vista psicofisico indipendentemente dal successo o meno del progetto procreativo.

Un altro momento in cui ben si colloca una consulenza psicologica è quella successiva ALL’EVENTUALE FALLIMENTO DEL TRATTAMENTO. In questa fase la coppia si trova a dover tollerare la delusione e la frustrazione di trovarsi davanti al fatto che “anche questa volta il tentativo è fallito”. La coppia vive di conseguenza una reazione di estremo dolore per aver perso il bambino immaginato e tanto sperato. Talvolta la coppia reagisce adattivamente al dolore e trova la forza di richiedere un ulteriore tentativo terapeutico, in altre situazioni – soprattutto

se il fallimento è successivo a più tentativi di trattamento ripetuti – la coppia sprofonda invece in una depressione caratterizzata da sentimenti di perdita, rabbia, colpa, ansietà, impotenza e mancanza di speranza, che può durare settimane oppure addirittura anni. In questo caso l’intervento dello psicologo deve essere tempestivo per aiutare la coppia – dopo una fase inevitabile in cui il dolore è protagonista – a rielaborare l’insuccesso e a ritrovare le risorse per rimettersi in piedi e andare avanti, sviluppando un progetto alternativo.

Capita che talvolta alcune persone – incapaci di tollerare il fallimento – sviluppano una sorta di accanimento sottoponendosi a ripetuti tentativi con l’idea ossessiva di ottenere una gravidanza ad ogni costo. La scelta di sottoporsi ripetutamente ad interventi di PMA permette a molte donne (sono loro di solito che insistono per riprovarci) di isolare il proprio dolore arrivando ad una vera scissione tra corpo e mente, a tal punto da negare la possibile natura emotiva-affettiva della propria sofferenza .

Esistono casi, invece, in cui la tipologia della diagnosi candida la coppia alla possibilità di ricorrere ad una fecondazione eterologa: sono situazioni queste dove è particolarmente fondamentale offrire uno spazio psicologico in cui la coppia possa fermarsi a riflettere, confrontarsi e mettere a nudo i propri pensieri, le paure e gli interrogativi.

Lo psicologo aiuterà a comprendere la profondità di tale “incertezza”: è una preoccupazione legata al pensiero comune (quindi al giudizio sociale) oppure appartiene ad un vissuto della propria storia personale? In ogni caso sarà importante fare mente locale e capire se la scelta di ricorrere alla fecondazione eterologa sia idonea per quella determinata coppia oppure scoprire insieme che, almeno momentaneamente, sia preferibile considerare di fermarsi.

 

Dott.ssa Angela Petrozzi,

Psicologa-Psicoterapeuta

Ordine degli Psicologi della Regione Toscana

Il fumo di sigaretta determina una serie di effetti nocivi sulla salute e rappresenta una delle cause principali d’insorgenza di varie patologie e di mortalità. È ormai noto a tutti che il vizio del fumo, chiamato tecnicamente tabagismo, è causa di diverse malattie, quali quelle cardiovascolari, e respiratorie, e di cancro ai polmoni, alla vescica, all’esofago, al rene, al pancreas e allo stomaco. Decisamente meno conosciuto dal grande pubblico è invece il deleterio effetto del tabagismo sulla fertilità; da parecchi anni i ricercatori che hanno studiato il rapporto tra il fumo di sigaretta e la salute riproduttiva hanno fornito prove sostanziali che il fumo è un fattore di rischio d’infertilità maschile e femminile e riduce le probabilità di una coppia di ottenere una gravidanza, oltre al fatto che aumenta la possibilità di effetti negativi sulla salute dei propri figli.

 

Impatto del fumo sulla fertilità maschile

Diversi studi hanno dimostrato che il fumo determina effetti nocivi su diversi parametri del liquido seminale; in particolare i fumatori presentano una riduzione del volume seminale, del numero totale di spermatozoi, nonché del numero di spermatozoi mobili e di spermatozoi con morfologia normale, rispetto agli individui non fumatori. Recenti studi hanno inoltre rilevato che i fumatori hanno un rischio maggiore di presentare alterazioni (frammentazioni) del DNA all’interno degli spermatozoi che possono determinare problemi durante la fecondazione, lo sviluppo dell’embrione, l’impianto dell’embrione ed essere causa di aborti spontanei.

Gli effetti del fumo sull’alterazione dei parametri indicatori della qualità dello sperma sembrano dipendere dalla dose, vale a dire che tanto maggiore è il numero di sigarette fumate ogni giorno e tanto maggiore è il rischio di alterazione della qualità dello sperma. Il meccanismo biologico con cui il fumo determina il peggioramento dei parametri spermatici non è ancora ben chiaro, anche se sembra sia coinvolto un aumento dello stress ossidativo e quindi dei dannosi radicali liberi causato dalle molte sostanze tossiche presenti nel fumo stesso.

Va anche aggiunto il noto il rapporto tra fumo di sigaretta e problemi di disfunzione erettile: infatti maggiore è la quantità di sigarette fumate e maggiore è il rischio di andare incontro a problemi di erezione che possono incidere negativamente sulla sessualità e quindi sulla capacità riproduttiva del fumatore.

Il fumo contribuisce in modi diversi ai problemi di erezione, ma in particolar modo determina soprattutto vasospasmi a livello del pene e favorisce un aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico che rende difficoltosa la dilatazione dei vasi sanguigni necessaria all’inturgidimento del pene.

 

Impatto del fumo sulla fertilità femminile

Le donne fumatrici presentano un’incidenza più elevata d’infertilità e impiegano più tempo a concepire rispetto alle non fumatrici. Il fumo è dannoso per le ovaie ed accelera la naturale diminuzione del numero di ovociti che può anticipare la comparsa della menopausa. Le sostanze contenute nel fumo causano sia un’alterazione nella produzione degli ormoni sia una maggiore incidenza di anomalie nel patrimonio genetico (DNA) contenuto all’interno degli ovociti; in aggiunta, il fumo si associa ad un maggior rischio di aborti.

Le gestanti che fumano durante la gravidanza presentano un maggiore rischio di andare incontro a nascite premature e di partorire un bambino con basso peso alla nascita, così come un maggior rischio di anomalie del feto. Senza contare poi che le fumatrici producono meno latte e di più bassa qualità e i loro bimbi hanno un rischio più alto di infezioni respiratorie e di asma, rispetto alle non fumatrici. Come nell’uomo, anche nelle donne il danno biologico causato dal fumo è proporzionale al numero di sigarette fumate ogni giorno.

La riduzione della fertilità nelle donne fumatrici sembra essere dovuta all’interferenza delle sostanze tossiche contenute nel fumo con la maturazione degli ovociti. Alcuni dati della letteratura medica suggeriscono, inoltre, che anche il fumo passivo gioca un impatto sulla fertilità della donna solo lievemente minore rispetto al fumo attivo; pertanto, non solo il fumo attivo ma anche quello passivo va considerato come un fattore di rischio d’infertilità femminile.

Impatto del fumo sulla procreazione medicalmente assistita (PMA)

Il tasso di successo delle tecniche di PMA risulta notevolmente ridotto nelle donne fumatrici: difatti, rispetto alle non fumatrici, è necessario quasi il doppio dei cicli per ottenere una gravidanza.

Le donne fumatrici inoltre:

  • richiedono dosi maggiori dei farmaci utilizzati nella PMA per ottenere una corretta stimolazione ovarica;
  • producono un minor numero di ovociti;
  • devono sottoporsi ad un maggior numero di cicli di PMA in quanto presentano un più basso tasso di fertilizzazione dell’ovocita e di impianto dell’embrione;
  • presentano un più alto tasso di aborti.

Smettere di fumare almeno 2 anni prima di sottoporsi alle tecniche di PMA aumenta significativamente le probabilità di concepimento, sebbene vada precisato che le fumatrici di lungo termine potrebbero manifestare danni alla capacità riproduttiva ormai irreversibili.

 

Conclusioni

I risultati degli studi effettuati sui modelli sia animali che umani e pubblicati nell’ultimo decennio indicano che il tabagismo e l’esposizione alle sostanze tossiche presenti nel fumo hanno un effetto fortemente nocivo sulla fertilità umana, alterando negativamente la qualità e la quantità degli spermatozoi e degli ovociti; non è un caso, quindi, che il tasso di infertilità nei fumatori sia quasi il doppio rispetto ai soggetti non fumatori. Infine è importante sottolineare che gli studi umani suggeriscono che smettere di fumare può consentire di ritardare l’età della comparsa della menopausa e di migliorare potenzialmente la qualità degli ovociti e dello sperma. In sintesi, gli studi attualmente disponibili suggeriscono che gli uomini e le donne in età riproduttiva debbano essere fortemente incoraggiati a smettere di fumare, al fine di preservare la loro fertilità.

 

Dott. Maurizio Cignitti

Responsabile Centro Medicina della Riproduzione, OORR Ancona

 

 

Fonti

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  2. Cinar O et al. Does cigarette smoking really have detrimental effects on outcomes of IVF? Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol 2014; 174:106–110.
  3. ESHRE Task Force on Ethics and Law. Lifestyle-related factors and access to medically assisted reproduction. Hum Reprod 2010; 25: 578-583.
  4. Fakuda M et al. Paternal smoking habits affect the reproductive life span of daughters. Fertil Steril 2011; 95: 2542-2544.
  5. Fuentes A et al. Recent cigarette smoking and assisted reproductive technologies outcome. Fertil Steril 2010; 93: 89–95.
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  8. Lombardo F et al. The role of antioxidant therapy in the treatment of male infertility: an overview. Asian J Androl 2011; 13(5): 690–697.
  9. Nicole J et al. Through the smoke: use of in vivo and in vitro cigarette smoking models to elucidate its effect on female fertility. Toxicol Appl Pharmacol 2014; 281: 266–275.
  10. Practice Committee of the American Society for Reproductive. Smoking and infertility: a committee opinion. Fertil Steril 2012; 98 (6): 1400–1406.
  11. Sansone A et al. Smoke, alcohol and drug addiction and male fertility. Reprod Biol Endocrinol 2018; 16 (1): 3.
  12. Sun L et al. Meta-analysis suggests that smoking is associated with an increased risk of early natural menopause. Menopause 2012; 19: 126–132.

Marzo è il mese dell’endometriosi, una patologia cronica invalidante che si associa a varie complicanze, tra cui l’infertilità

 

In tutto il mondo marzo è il mese dedicato all’endometriosi, che quest’anno è culminato con la “Giornata Mondiale dell’endometriosi” – tenutasi sabato 24 marzo -, ossia l’evento clou istituito ad hoc per sensibilizzare le persone su questa malattia.

L’endometriosi è una malattia cronica dolorosa e complessa che colpisce il tessuto che costituisce la parte interna (cavità) dell’utero, chiamato endometrio, da cui il nome “endometriosi”. La malattia origina quando il tessuto endometrio è presente anche al di fuori dell’utero dove non dovrebbe esserci, ad esempio nell’addome, nelle ovaie e nelle tube ovariche. Essendo un tessuto tipico dell’utero e quindi sensibile agli ormoni femminili, l’endometrio “ectopico” (cioè presente altrove al di fuori dell’utero) continua a reagire e a rispondere alle variazioni ormonali che si verificano ad ogni ciclo mestruale, ispessendosi. Ciò provoca rigonfiamento degli organi in cui si trova, con emorragia interna, rottura dei tessuti e infiammazione degli organi colpiti e comparsa di forti dolori, problemi intestinali e di aderenze e, nel 30-40% delle pazienti, problemi d’infertilità.

L’endometriosi è tutt’altro che una patologia poco frequente: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il 10-15% delle donne in età fertile soffre di endometriosi. Solo in Italia i casi di endometriosi sono 3 milioni, generalmente appartenenti alla fascia d’età tra i 25 e i 35 anni; purtroppo la malattia viene diagnosticata con ernome ritardo, mediamente dopo 7 anni.

Oltre al rilevante impatto epidemiologico, l’endometriosi è anche una malattia invalidante sotto il profilo della qualità di vita, con risvolti negativi a livello sociale, relazionale e lavorativo: la malattia causa difatti ansia, discriminazione, paura, giornate di malattia e rischio di perdere il posto di lavoro; problematiche, quindi, di estrema attualità e importanza.

Ma la conseguenza sicuramente più grave e invalidante per la donna stessa e per le coppie è che l’endometriosi porta ad infertilità. Nelle donne affette da endometriosi il tasso di gravidanza è difatti inferiore al 2% per ciclo mestruale, contro un valore del 20% in condizioni normali, con una riduzione quindi della possibilità di avere figli di 10 volte.

L’infertilità  diventa quindi un aspetto fondamentale di cui il medico deve tener conto e che deve affrontare nel momento in cui si appresta alla diagnosi e alla cura dell’endometriosi; dal canto suo, questa patologia condiziona poi l’approccio diagnostico e terapeutico per la cura dell’infertilità per le coppie che decidono di rivolgersi alla fecondazione assistita. La medicina riproduttiva è difatti un’opportunità terapeutica da intraprendere grazie agli elevati tassi di successo che caratterizzano questa tecnica.

Negli ultimi anni sono stati compiuti numerosi passi in avanti sul fronte terapeutico-assistenziale ma anche istituzionale dell’endometriosi: nel 2016 la malattia è stata inserita dal Governo Italiano nell’elenco delle patologie croniche e invalidanti; infine, da marzo 2017 sono entrati in vigore i nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) previsti per gli stadi clinici di endometriosi moderata e grave.

 

 

L’obesità è considerata o uno dei principali problemi di salute pubblica del 21° secolo, avendo assunto ormai i connotati di un’epidemia globale.

I recenti dati emanati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sono preoccupanti: a partire dal 1975 la diffusione dell’obesità a livello mondiale si è quasi triplicata attestandosi al 13% e coinvolgendo quindi 650 milioni di individui al di sopra dei 18 anni, più di 340 milioni di bambini ed adolescenti tra i 5 e i 19 anni e 41 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni.

L’obesità è una patologia tristemente nota per le sue serie complicanze cardiovascolari, come diabete, ipertensione arteriosa, ictus, infarto miocardico, aterosclerosi. Questa lista ora è destinata ad allungarsi coinvolgendo aspetti della salute di pertinenza non cardiologica ma squisitamente ginecologica: sempre più evidenze indicano ormai che l’obesità si associa ad esiti avversi sia materni che perinatali, nonché compromette la fertilità.

Sul fronte materno, oltre ad aumentare il rischio cardiovascolare per la donna, l’obesità diventa un serio problema anche per la gravidanza, poiché aumenta il rischio di aborti così come di complicanze ostetriche e neonatali, con conseguente riduzione del tasso di nascita di bambini in buona salute.

Ed è appunto anche sulla salute dei figli che l’obesità lascia la sua temibile impronta perché per i nascituri essa è un importante fattore di rischio d’insorgenza di malattie croniche – soprattutto nell’adolescenza e in età adulta – come le patologie cardiovascolari, l’ipertensione, l’ipercolesterolemia, il diabete, l’osteoporosi, nonché di tumori. Ciò sottolinea che l’impatto negativo dell’obesità delle donne gravide (preesistente o acquisita durante la gestazione) sulla salute dei loro figli inizia già sin dal loro concepimento.

L’obesità nella donna ha effetti deleteri anche su un altro aspetto della procreazione, ossia la fertilità. Varie evidenze hanno documentato che le donne obese presentano problematiche nella funzionalità dell’apparato riproduttivo. Per esempio, a parità d’età e condizioni socio-ambientali è stato osservato che tra le donne con peso corporeo in eccesso del 10-46% rispetto al peso ideale, circa il 20% soffre di disturbi del ciclo mestruale – come l’assenza di mestruazioni, chiamata amenorrea in termini medici -, mentre tra quelle con un eccesso di peso superiore al 75% rispetto al peso ideale il numero di disturbi mestruali aumenta a oltre il 50%. Uno studio (il Nurses Health Study) ha dimostrato inoltre che le donne obese (con un indice di massa corporea superiore a 30) avevano un rischio circa 3 volte più alto d’infertilità rispetto a quelle normopeso. Vi è poi il riscontro clinico che le donne obese abbiano una minore probabilità di una gravidanza di successo o comunque abbiano un rischio maggiore d’interruzione spontanea della gravidanza dopo trattamento per infertilità o dopo avvenuta fertilizzazione, rispetto alle donne normopeso.

Queste osservazioni suggeriscono che l’eccesso di peso e l’obesità giochino un ruolo importante nei meccanismi che portano ad incorrere nell’infertilità. Basti pensare, solo per citare qualche meccanismo a titolo esemplificativo, che l’obesità può modificare i livelli di insulina prodotta dal pancreas, causando un’eccessiva produzione di ormoni sessuali maschili (androgeni) tale da determinare cicli mestruali irregolari, riduzione dei cicli ovulatori e, conseguentemente, bassi tassi di fecondità; oppure che il grasso in eccesso che si deposita o a livello delle ovaie può interferire con lo sviluppo embrionale e causare aborti spontanei; oppure il problema della sindrome dell’ovaio policistico, una patologia femminile strettamente connessa all’obesità che riduce notevolmente la capacità di concepire in quanto si associa ad un’aumentata produzione di ormoni sessuali maschili (iperandrogenismo) e a disfunzioni mestruali, con assenza di ovulazione (cicli anovulatori).

Pertanto, alla luce del drammatico aumento dell’obesità attualmente in corso e delle sue rilevanti sequele sulla sfera riproduttiva, sulla salute dei nascituri e sugli esiti della fecondazione assistita diventa estremamente importante sensibilizzare le donne sulla problematica e attuare strategie di prevenzione e correzione del disturbo “obesità”, consigliando e incoraggiando fortemente le donne sovrappeso o francamente obese a normalizzare il loro peso corporeo, con la consapevolezza che anche solo una modesta riduzione del peso può aumentare le probabilità di ovulazione spontanea o indotta. In tale contesto, è fondamentale quindi che i medici diagnostichino l’obesità e raccomandino modifiche del comportamento alimentare e dello stile di vita con diete e aumento dell’attività fisica per ridurre il peso nelle donne prima del concepimento di un bambino o prima di sottoporsi alla fecondazione assistita.

 

Fonti

  1. Galliano D et al. Female obesity: short- and long-term consequences on the offspring. Gynecol Endocrinol 2013; 29 (7): 626-631.
  2. Lapolla A et al. Obesità femminile e funzione riproduttiva. Giorn It Diabetol Metab2007; 27: 16-22.
  3. Castillo-Martinez I et al. Menstrual cycle length disorders in 18-to 40 years old obese women. Nutrition 2003; 19: 317-320.
  4. Lake JK et al. Women’s reproductive health: the role of body mass index in early and adult life. Int J Obes Relat Metab Disord 1997;21:432-438.
  5. Fedorcsak P et al. Obesity is a risk factor for early pregnancy loss after IVF or ICSI. Acta Obstet Gynecol Scand 2000; 79: 43-48.
  6. Pasquali R et al. Obesity and reproductive disorders in women. Hum Reprod Update2003; 9: 359-372.
  7. Talbott E et al. Coronary heart disease risk factors in women with PCOS. Arterioscler Thromb Vasc Biol1995; 15: 821-826.
  8. Speroff L et al. Clinical gynecologic endocrinology and infertilit,y. Philadelphia, Lippincott Williams & Wilkins, 2005.

Sterilità e infertilità, ossia l’incapacità a concepire e l’impossibilità di portare a termine una gravidanza con la nascita di un bimbo sano, sono problematiche molto diffuse in tutto il mondo occidentale e anche in Italia”, spiega Mario Mignini Renzini, Direttore medico di Biogenesi, il più grande tra i Centri Italiani di Procreazione Assistita, convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale.

Se dopo un periodo adeguato di rapporti non protetti la gravidanza tarda ad arrivare o se l’età della donna è superiore ai 35 anni, è importante rivolgersi senza timori ad un centro di medicina della riproduzione sia per valutare attentamente la situazione della coppia che per considerare il ricorso alle tecniche di procreazione assistita” continua il Dott. Mario Mignini Renzini.

“Nei nostri oltre 20 anni di esperienza abbiamo potuto osservare come le difficoltà nella procreazione possano suscitare stimoli emotivi molto intensi sia a livello individuale che di coppia. In questo percorso, quello della scelta del centro di PMA è uno dei momenti più difficili. Spesso la coppia si trova infatti sola a compiere la decisione, senza conoscere esattamente i criteri in base ai quali valutare le varie opzioni e a volte senza un reale supporto da parte del medico di famiglia o del ginecologo di fiducia. Il timore di sbagliare, nella consapevolezza che gli eventuali trattamenti di procreazione assistita non potranno essere infiniti, affligge, in maniera legittima e comprensibile, moltissime coppie. Per questo motivo desideriamo fornire delle informazioni di base utili per un primo orientamento.

Uno dei primi criteri da valutare nella scelta di un centro di procreazione assistita è il numero di cicli di procreazione assistita effettuati dal centro. Un centro che effettua numerosi cicli ha acquisito maggiore esperienza nella gestione dei singoli casi, ed è più probabile che adotti le tecniche più avanzate di procreazione assistita. Per verificare tutti i dati relativi ai centri attivi in Italia le coppie possono collegarsi al sito del Registro Nazionale della Procreazione Medicalmente Assistita dove troveranno delle schede dettagliate suddivise per regioni e province.

Lo staff medico è il secondo fattore critico da valutare: per affrontare correttamente il percorso della PMA il centro deve avvalersi delle conoscenze di un numero adeguato di medici esperti in medicina della riproduzione, ginecologi, embriologi e psicologi. L’attività scientifica e di ricerca di un gruppo di PMA è un altro fattore da tenere in considerazione. Il centro di PMA che svolge attività di ricerca è un centro che verifica costantemente la qualità del proprio lavoro e si confronta con il mondo scientifico internazionale sulle problematiche e sulle novità nell’ambito della PMA.

Altri criteri da considerare sono la capacità del centro di effettuare trattamenti non solo di primo ma anche di secondo livello, l’adozione di tecniche innovative come, ad esempio, il time lapse o l’assisted hatching e anche fattori quali il tempo di attesa. Per alcune coppie restare in lista di attesa per diversi mesi può significare compromettere la possibilità di ottenere una gravidanza senza ricorrere alla donazione o all’adozione.

Non da ultimo voglio sottolineare che non sempre per accedere a trattamenti di procreazione assistita di elevatissima qualità si deve disporre di una cospicua somma di denaro. I nostri centri, ad esempio, sono convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale e i costi per i trattamenti di procreazione assistita non gravano sulle coppie che si rivolgono a noi.”

Per approfondire l’argomento la invitiamo a collegarsi al sito Biogenesi.

 

Press Contacts: ufficiostampa@origgiconsulting.it

Dott.ssa Daniela Origgi: d.origgi@origgiconsulting.it

L’Associazione Luca Coscioni e le associazioni di coppie che accedono o si accingono ad accedere alla fecondazione medicalmente assistita hanno lanciato un appello al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin e al Comitato Lea, chiedendo che nell’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza sia inclusa la diagnosi preimpianto anche nelle strutture pubbliche, affinché l’aspetto economico non diventi un ostacolo a realizzare il desiderio di genitorialità.

In previsione dell’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA), l’Associazione Luca Coscioni – un’associazione no profit di promozione sociale fondata nel 2002 da Luca Coscioni – insieme alle associazioni di coppie che accedono alla fecondazione medicalmente assistita, ha deciso di lanciare un appello in cui si chiede d’includere la diagnosi preimpianto tra i LEA e il libero accesso a tutte le tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA).

Il loro appello fa leva su 3 istanze in particolare: in primo luogo viene chiesta la definizione del tariffario per queste prestazioni dal momento che, dopo 1 anno dall’aggiornamento, il fabbisogno delle persone che desiderano accedere a tali servizi resta ad oggi disatteso; in secondo luogo che sia prevista l’inclusione nei LEA della diagnosi genetica preimpianto (PGD) e dello screening genetico preimpianto (PGS) affinché tali indagini siano considerate procedure integranti delle diagnosi prenatali; infine che siano pubblicizzati sia il numero di gravidanze con indagini cliniche preimpianto sia il numero di embrioni non idonei per una gravidanza: la disponibilità di queste informazioni – attualmente raccolte dal registro nazionale sulla PMA senza però essere oggetto di presentazione nella relazione al Parlamento – sarebbe difatti molto importante e utile non solo per le coppie ma anche per stutta la comunità scientifica.

L’appello in questione scaturisce da alcuni limiti ribaditi dall’Associazione Coscioni e da quelle delle coppie: in primis la carenza di strutture pubbliche che erogano le indagini PGD e PGS; basti pensare, difatti, che tra i 354 centri di PMA in Italia (di cui 112 pubblici) solo 5 eseguono queste tecniche di diagnosi preimpianto, quando in realtà tutti i centri autorizzati ad applicare le tecniche di fecondazione in vitro dovrebbero erogare le procedure di diagnosi preimpianto ai sensi della legge 40/04 sulla PMA, la quale prevede che la coppia possa chiedere di conoscere lo stato dell’embrione/blastocisti prima dell’impianto in utero.

A seguire l’insostenibilità dei costi da parte di tutti e una sorta di mancanza di “trasparenza” delle informazioni, quest’ultima ascrivibile al fatto che nella relazione presentata annualmente al Parlamento da parte del Ministro della Salute – ai sensi della legge 40/04 – non sono riportati i dati inerenti le gravidanze con tecniche di PMA e indagini di diagnostica preimpianto, così come non sono neppure riportati i dati sul numero di embrioni crioconservati non idonei per una gravidanza a seguito di una PGD.

Ricercatori e medici dell’Università Cattolica, sede di Roma e della Fondazione Policlinico A. Gemelli hanno scoperto che gli spermatozoi sono capaci di “odorare” poiché possiedono numerosi recettori olfattori simili a quelli contenuti nella mucosa olfattiva del naso che servono a riconoscere e distinguere gli odori. Presenti sulla superficie dello spermatozoo, questi recettori svolgono un importante ruolo sia nella maturazione, sia nell’attivazione spermatica e nel processo di fecondazione dell’ovocita.

 

È il risultato dello studio coordinato dal Professor Alfredo Pontecorvi, Direttore dell’Istituto Scientifico Internazionale “Paolo VI” – ISI e dell’Area di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo del Policlinico A. Gemelli di Roma, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers in Endocrinology.

 

I recettori olfattori sono espressi anche in sedi differenti rispetto alla mucosa olfattiva e precedenti studi già avevano riportato l’espressione del recettore olfattorio “hOR17-4” sulla superficie degli spermatozoi, ipotizzando un suo ruolo nell’attivazione dello spermatozoo a fecondare l’ovocita. Odoranti sintetici ed estratti floreali sono anche in grado di attivare tale recettore.

 

“Nel nostro studio, svolto in collaborazione con il Professor Massimo Castagnola e i ricercatori dell’Istituto di Biochimica e Biochimica Clinica dell’Università Cattolica, l’applicazione di moderne piattaforme di proteomica (per studiare le proteine umane) – spiega il Professor Pontecorvi – ha consentito di identificare ben otto differenti recettori olfattori presenti come frammenti nel liquido seminale ed espressi sulla superficie dello spermatozoo, nei tubuli seminiferi del testicolo e nell’epididimo. I nostri dati evidenziano inoltre un ruolo importante per questi recettori poiché essi consentirebbero allo spermatozoo di ‘fiutare’ le sostanze chimiche rilasciate dall’ovocita e di dirigersi verso di esso allo scopo di fecondarlo”, aggiunge Pontecorvi, professore Ordinario di Endocrinologia all’Università Cattolica

 

“I recettori olfattori degli spermatozoi intervengono anche nel processo di maturazione dello spermatozoo stesso, e dunque diventano nuovi attori di quell’articolata rete di molecole deputate alla regolazione della spermatogenesi”, aggiunge il Dottor Giuseppe Grande, andrologo dell’Istituto Scientifico Internazionale “Paolo VI”-ISI.

 

“Si tratta di un lavoro con una notevole rilevanza clinica – spiega il Dottor Domenico Milardi, andrologo presso l’ambulatorio ISI presso la Fondazione Policlinico A. Gemelli -: in pazienti con infertilità dovuta all’arresto della maturazione degli spermatozoi abbiamo dimostrato l’assenza di questi recettori. Riteniamo quindi che tale assenza possa svolgere un ruolo causale nella compromissione della spermatogenesi in questi pazienti. Il nostro studio, dunque, oltre ad aprire nuove prospettive nella comprensione dei meccanismi molecolari coinvolti nella spermatogenesi e nel processo di fecondazione dell’ovocita, lascia intravedere anche importanti risvolti clinici per i pazienti affetti da sterilità da arresto maturativo degli spermatozoi”. Si tratta di una discreta percentuale di pazienti con infertilità.

Le donne in procinto di sottoporsi ad un trattamento di Riproduzione Assistita devono essere adeguatamente immunizzate prima della gravidanza per evitare malattie prevenibili

Le donne che si sottopongono ad un trattamento di Riproduzione Assistita devono vaccinarsi contro l’influenza se affette da patologie che aumentano il rischio di complicanze da influenza o se desiderano evitare la malattia influenzale e non abbiano specifiche controindicazioni.

  • Prima di sottoporsi ad un trattamento di riproduzione assistita si raccomanda la vaccinazione contro la rosolia, mediante vaccino MPR, se la donna non è immunizzata avvisandola di evitare una gravidanza per il mese successivo.
  • La vaccinazione contro la pertosse, mediante vaccino dTp, è consigliata al terzo trimestre di ogni gravidanza (idealmente alla 28a settimana)

All’inizio del trattamento è raccomandata la vaccinazione contro l’influenza. La Dottoressa Daniela Galliano, Responsabile del Centro IVI di Roma, spiega che “le donne sottoposte a trattamento di riproduzione assistita, se presentano un rischio, devono essere trattate esattamente come il resto della popolazione. Mi riferisco, ad esempio, ad una malattia cronica cardiovascolare o respiratoria o al diabete o ad altre patologie indicate nella Circolare ministeriale annuale per la prevenzione e il controllo dell’influenza. In questi casi si raccomanda la vaccinazione”.

Nelle cliniche IVI, i ginecologi seguono le indicazioni del Ministero della Salute e raccomandano la vaccinazione antinfluenzale alle donne che si trovano nel secondo e terzo trimestre di gravidanza, soprattutto a quelle il cui parto è previsto per l’inverno. Secondo la Dottoressa Galliano, “Il vaccino antinfluenzale protegge la mamma, riducendo il rischio di ricovero almeno del 50% e il bambino, riducendo significativamente i casi di malattia e di otite nei primi due mesi di vita”.

“La vaccinazione contro l’influenza – prosegue la Dottoressa Galliano – rappresenta il mezzo più efficace e sicuro per prevenire la malattia e le sue complicanze. Nel primo trimestre di gravidanza, in assenza di condizioni mediche predisponenti che rendano imperativa la vaccinazione antinfluenzale, questa deve essere subordinata ad una attenta valutazione del rapporto rischio beneficio da parte del medico curante”.

Altri vaccini prima della gravidanza

Rispetto ad altri vaccini che preoccupano le pazienti, la Dottoressa Galliano assicura che nelle analisi da fare prima dei trattamenti di riproduzione assistita è incluso lo stato di immunità per la rosolia e per l’epatite B.

“La prima è compresa nel calendario vaccinale delle bambine, ma accade che donne adulte non siano immunizzate. In questo caso si raccomanda di vaccinare e di attendere un mese prima di iniziare il trattamento di riproduzione assistita, dato che il vaccino è a virus vivi attenuati, informa la Responsabile del Centro IVI di Roma.

Per quanto riguarda il vaccino per l’epatite B, gli specialisti dell’Istituto Valenciano di Infertilità consigliano di somministrarlo in generale in gruppi con fattore di rischio, specialmente personale sanitario, ma se questo non esiste, puntualizzano che non è necessario.

E durante la gravidanza… 

Oltre all’influenza, dal 2015 il Ministero della Sanità raccomanda alle donne incinte di vaccinarsi ad ogni gravidanza contro la pertosse nel terzo trimestre di ogni gravidanza (idealmente alla 28a settimana) mediante il vaccino combinato difterite-tetano-pertosse. Secondo la Dottoressa Daniela Galliano, “è stato dimostrato che in questo modo si proteggono i bambini minori di tre mesi da questa infezione respiratoria che può essere gravissima nel neonato”.

Tuttavia, durante la gravidanza sono “controindicati i vaccini contro morbillo, rosolia, parotite, varicella, da un mese prima della gestazione e durante tutta la stessa, poiché potrebbero provocare un’infezione fetale”, conclude la Dottoressa Galliano, malgrado questa evenienza non rappresenti una indicazione a un eventuale aborto.

Molto spesso capita, allo psicologo che opera nei reparti di PMA, d’incontrare coppie tormentate da dubbi e domande, che se non vengono accolte e ragionate insieme alla coppia stessa, rappresentano un vero ostacolo al successo del percorso procreativo. Nei lavori precedenti ho cercato di mettere in luce i vissuti delle coppie che intraprendono i percorsi di PMA dando alcune risposte ai loro quesiti. “Cosa raccontare al bambino?È giusto parlarne con gli altri? E se anche questo tentativo fallisse?

Nel presente lavoro mi dedichèrò di più a fornire un’analisi delle domande che emergono invece nei percorsi di fecondazione eterologa assistita mettendo in luce alcune differenze importanti in termini emotivi tra un tipo di percorso e l’altro. Il ricorrere alle tecniche di PMA indica l’importanza data dalla coppia al mantenimento di un vincolo biologico con il figlio, che ricorrendo alla fecondazione eterologa in parte si perderebbe, un po’ come avviene nelle genitorialità adottive. Il ricorrere al seme di un donatore esterno alla coppia per procreare il figlio tanto immaginato e desiderato, richiede alla persona di doversi confrontare fino in fondo con il fallimento di un progetto procreativo che affonda le sue origini fin dai primi anni della vita di un individuo, e da alcuni anni nella vita della coppia. In tali casi la situazione della sterilità assume le sembianze di quella del lutto (Vegetti Finzi, 1997). La persona, di fronte alla prospettiva di ricorrere ad una fecondazione eterologa, non solo deve elaborare il lutto della possibilità di generare un prolungamento di se stesso, attraverso una genitorialità biologica, ma deve anche sopportare l’idea che sia qualcun altro esterno/estraneo alla coppia, a poterlo realizzare al proprio posto, o al posto del proprio partner.

Assistiamo a questo punto allo sviluppo di una serie di sensazioni che hanno a che fare con il crollo dell’autostima, vissuti paranoici e sentimenti d’impotenza e d’esclusione. La prospettiva di ricorrere al gamete di un donatore esterno alla coppia per poter realizzare il progetto procreativo ideato con il proprio partner rappresenta un vero attacco all’immagine di Sé e all’ideale dell’Io. La stabilità della coppia viene minacciata dall’insorgenza di ulteriori insicurezze che rappresentano una minaccia vera e propria al progetto originario della coppia stessa. Il superamento dell’empasse procreativo dipende da molteplici fattori, in particolare la personalità dell’individuo e l’equilibrio che la coppia riesce a mantenere.

Lo psicologo in questi casi ha il dovere di aiutare la coppia a riflettere sulla possibilità di intraprendere un ciclo di fecondazione eterologa, come sulla possibilità di intraprendere altre scelte. Lo psicologo deve porre molta attenzione alle domande sollevata dalla coppia, perché proprio attraverso queste domande potrà verificare la consapevolezza della scelta indicata dalla coppia e aiutare i partner a sostenersi durante un percorso estremamente delicato. “È giusto ricorrere alla fecondazione eterologa? In tal caso il bambino a chi somiglierà? Gli vorrò’ bene come fosse mio?” Sono domande estremamente complesse che esprimono principalmente la difficoltà, almeno in uno dei due partner, di superare il desiderio di avere un figlio biologico, “un figlio che lo somigli”. Rinunciare ad una genitorialità biologica rappresenta un passaggio estremamente delicato e complesso: l’esperienza della fecondazione eterologa richiede alla coppia la capacità di tollerare la presenza dei genitori biologici del bambino, presenza che pur non essendo concreta può diventare, in alcuni momenti, invadente e suscitare ansia e sentimenti di perdita rispetto ad un rapporto esclusivo con il figlio.

Sebbene la legge preveda la riservatezza assoluta del donatore, da un punto di vista psicologico non è sempre possibile per la coppia ricevente cancellare la storia biologica del bambino. Il genitore, nella costruzione del legame con il proprio bambino ha bisogno di riconoscersi anche negli aspetti somatici del bambino, non a caso le caratteristiche somatiche della coppia ricevente vengono abbinate attentamente a quelle del donatore. “E’ chiaro che avrei preferito che mi somigliasse in tutto- afferma sorridendo Marco durante un colloquio- ma sono convinto che ci si affeziona stando nella relazione…i figli sono di chi li cresce”. Effettivamente Marco fa riferimento ad un concetto più allargato di genitore; dove la parola “genitore” significa qualcosa di molto più impegnativo che generare in senso biologico un figlio. Genitore è colui che con la propria dedizione amorosa consente lo sviluppo armonico del bambino. Basti pensare a quanti, da Winnicott a Bowlby, hanno affermato che “non esiste un bambino da solo, ma sempre un bambino col genitore”.

Dottoressa Petrozzi