Autore: Redazione

L’ovodonazione è un trattamento medico e come tale è il medico specialista che decide il percorso più idoneo per la paziente e per la coppia. Esistono dei requisiti per cui si può effettuare una ovodonazione.

Il percorso di ovodonazione è un trattamento di fecondazione assistita in cui si utilizzano i gameti donati da giovani donne per aiutare coppie in cui vi è un conclamato fattore di infertilità femminile. Spesso le coppie che si approcciano a questa tecniche vengono fuori da lunghi anni di ricerca di una gravidanza o da lunghi percorsi fallimentari di fecondazione di tipo omologo e vedono in questo percorso una reale e concreta possibilità di avere un bambino quando non credevano più che fosse possibile.

La possibilità di informarsi su internet e di confrontarsi con altre coppie che hanno effettuato lo stesso percorso riaccende la speranza in coppie che vedevano allontanarsi sempre di più il loro sogno. Proprio per questo motivo capita sempre più frequentemente che sia la coppia stessa a decidere che per loro è giunto il momento di effettuare un‘ovodonazione. In realtà è bene affidarsi ad un Centro specializzato in infertilità per far sì che sia un medico specialista a decidere cosa è meglio per la coppia.

Esistono chiare indicazioni sancite da una Commissione di esperti in Riproduzione nel 2014, anno in cui è stato possibile introdurre la fecondazione eterologa in Italia, per cui un uomo o una donna necessitano di donazione di gameti. Le indicazioni femminili sono un’età avanzata, una riserva ovarica ridotta o numerosi cicli fallimentari di fecondazione omologa, una menopausa precoce e l’essere affette da malattie genetiche che possono essere trasmesse ai figli.

Tra le indicazioni per potere effettuare un percorso di ovodonazione esiste dunque anche l’avere avuto precedenti cicli di fecondazione omologa fallimentari; quanti cicli e con che esiti resta un dato da sottoporre a valutazione medica. Lo specialista durante un colloquio preliminare valuterà gli esami di salute generale, gli esami di valutazione della funzionalità ovarica, analizzerà gli esiti dei cicli precedenti e la storia personale della donna. È importante che la donna sia in buona salute essendo la gravidanza da ovodonazione a rischio di poter sviluppare complicanze ostetriche. È per questo motivo che si cerca di ricorrere a questa tecnica solo quanto mancano davvero gli estremi per poter effettuare un ciclo di omologa.

 

Dott.ssa Laura Badolato

Sì la possibilità di avere gravidanze gemellari c’è in tutte le tecniche di fecondazione assistita.  Si può ridurre il rischio di gemellarità trasferendo un solo embrione al momento del transfer in utero.

La gemellarità è da sempre associata alla fecondazione assistita; questo è dovuto al fatto che per aumentare le possibilità di ottenere una gravidanza si trasferiscono in utero più embrioni al momento dell’embryo transfer. Il numero massimo è tre, opzione utilizzata nelle donne con bassa chance riproduttiva.

Nei cicli di eterologa questa consuetudine viene meno perché la scelta sul numero di embrioni varia a seconda delle caratteristiche della donna. Ci sono delle categorie di donne in cui già affrontare una gravidanza può essere impegnativo o per età o per patologie mediche preesistenti. Essendo l’ovodonazione una gravidanza a rischio ed essendo anche le gravidanze gemellari più a rischio rispetto alle gravidanze singole in queste categorie di donne si preferisce trasferire un embrione per volta.

In particolare è sempre più sostenuta dalla comunità scientifica internazionale la scelta di trasferire un solo embrione in donne di età superiore ai 45 anni e nelle donne con malformazioni uterine o pregresso parto pretermine. Questa semplice accortezza riduce i rischi di complicanze legate alla gemellarità migliorando poi gli esiti neonatali.

Il medico dopo un’accurata valutazione clinica propone ai pazienti un numero di embrioni da trasferire in utero e la coppia dovrà comunque confermare con un consenso informato firmato o riparlarne con lui se non fosse d’accordo sul numero proposto.

Ricordiamo che nonostante la possibilità di effettuare il trasferimento in utero di un solo embrione per volta non c’è comunque la certezza di non avere una gravidanza gemellare perché l’embrione una volta in utero può comunque sdoppiarsi dando vita ad una gravidanza gemellare di tipo monocoriale.

 

Dott.ssa Laura Badolato

Le donatrici di ovuli sono donne di giovane età, dai 18 ai 35 anni, che spontaneamente si sottopongono a stimolazione ormonale e ad un prelievo ovocitario per poi ottenere gli ovuli da donare a coppie che ne fanno richiesta.  La preparazione per ottenere gli ovociti da donare è la medesima che abitualmente si esegue nei cicli di fecondazione di tipo omologo.  Una volta ottenuti questi gameti vengono poi destinati ad una coppia in base ad un match eseguito dal personale medico e biologo. È infatti necessario scegliere le persone a cui destinare la donazione in base a caratteristiche mediche e fenotipiche. È fondamentale che la donatrice abbia un gruppo sanguigno compatibile con la coppia ricevente e che sia della stessa razza e che magari somigli anche ai futuri genitori. Proprio per questo i Centri di Procreazione Medicalmente Assistita in cui si effettua ovodonazione rilasciano alla coppia dei questionari da compilare in cui sono richieste tutte le caratteristiche fisiche e mediche della coppia a cui è destinata la donazione.

Le donatrici, prima di procedere, sono sottoposte a innumerevoli accertamenti medici per verificare che esse siano in un buono stato di salute e che non ci siano controindicazioni alla donazione. Viene indagata anche la storia familiare per evitare che esse siano portatrici di malattie genetiche; inoltre vengono eseguiti test genetici di approfondimento. Importante è sottolineare che c’è una meticolosa selezione psicologica fatta da esperti che valutano la salute mentale e che la ragazza abbia ben compreso e sia informata sul percorso che sta per intraprendere.

Una volta effettuata la donazione la ragazza non sarà informata su chi sarà la coppia che riceverà i suoi gameti né se nasceranno bambini. La coppia quindi potrà star tranquilla perché sarà fatto tutto in completo anonimato. Resta solo una tracciabilità medica necessaria in caso di problemi di salute del bambino.

Nei vari Stati in cui è possibile eseguire donazione di gameti la Legislazione può essere differente e quindi bisogna informarsi prima e leggere attentamente i Consensi Informati forniti dai Centri di Procreazione Medicalmente Assistita. In Italia la Legislazione permette la donazione esclusivamente volontaria dai 20 a 35 anni, non è previsto compenso alcuno per le donne e vige la regola del totale anonimato per le parti in causa.

 

Dott.ssa Laura Badolato

L’ovodonazione è una tecnica di tipo eterologo alla quale, negli ultimi tempi, numerose coppie ricorrono per riuscire ad avere un bambino.

Di chi sono gli ovociti utilizzati? Si utilizzano ovociti donati da giovani donne per riuscire a superare problemi legati all’età o a problemi femminili che causano infertilità. Il seme utilizzato può essere del marito o di un donatore portando a degli embrioni che poi verranno trasferiti nell’utero della donna ricevente. È una tecnica che ha elevate possibilità di successo.

L’ovodonazione è una tecnica di fecondazione assistita di tipo eterologo; ovvero per riuscire ad ottenere una gravidanza non si utilizzano i gameti della coppia ma si fa ricorso a gameti di una donatrice o di un donatore a seconda delle necessità.

Nel percorso di ovodonazione vengono utilizzati gli ovociti di una donatrice per infertilità da principale causa femminile. La donatrice viene selezionata in modo meticoloso e ha come principale caratteristica il fatto di essere una giovane donna sana. Questo permette di ottenere una gravidanza nelle donne che hanno un’età avanzata e pertanto non hanno più ovociti di buona qualità, nelle donne che hanno una riserva ovarica ridotta o che hanno avuto precedentemente numerosi cicli fallimentari di fecondazione omologa, donne in menopausa e donne che sono affette da malattie genetiche che possono essere trasmesse ai figli.

Gli ovociti donati vengono inseminati con il seme del partner della coppia se non ci fossero problemi maschili o nel caso ci fossero con il seme di un donatore (doppia donazione); si ottengono in questo modo degli embrioni che poi vengono trasferiti nell’utero della donna ricevente. Sarà poi proprio questa donna ad affrontare la gravidanza e a partorire.

Le possibilità di gravidanza con questa tecnica sono elevate. Le percentuali variano a seconda del Centro in cui viene eseguito il ciclo di ovodonazione e variano dal 40 al 60 % anche se poi la percentuale di bambino in braccio a termine di gravidanza si riduce per le eventuali complicanze presenti sia nella prima parte della gravidanza (aborti) sia nella gravidanza più avanzata (parti pre-termine, ritardi di crescita).

Per potere accedere a questo tipo di tecnica è necessario eseguire una visita specialistica in un Centro di Procreazione Medicalmente Assistita dove medici esperti in riproduzione e psicologi valuteranno se ci sono le caratteristiche nella coppia per poter ricorrere ad una donazione dei gameti. La tecnica può essere eseguita in convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale solo in alcune regioni e solo per alcune donne in base a criteri anagrafici.

 

Dott.ssa Laura Badolato

Il problema dell’infertilità maschile e poi del ricorso alla PMA è spesso causato
dai mancati controlli medici dell’uomo

 

L’infertilità maschile, e dunque il mancato concepimento, è ancora per molti uomini una questione che riguarda solo la donna. Pare che, dati alla mano, il retaggio culturale sia duro a morire.

la Società Italiana di Andrologia (SIA)(www.andrologiaitaliana.it) nell’ultimo congresso ha riferito che tra le coppie che ricorrono alla fecondazione assistita almeno una su 4 salta le visite dall’andrologo.

 

Infertilità maschile raddoppiata perché l’uomo non si preoccupa del problema

Se i programmi di prevenzione per la donna si moltiplicano, l’uomo si potrebbe definire il “grande assente”. Il parere degli andrologi è che se invece gli uomini iniziassero a fare, come le donne, una buona prevenzione e diagnosi, l’infertilità si potrebbe intercettare con ben dieci anni di anticipo rispetto a oggi. Gli esperti sottolineano, inoltre, che in una coppia infertile nella metà dei casi è l’uomo il responsabile del mancato concepimento.

E, se non bastasse a far capire l’urgenza dei controlli andrologici, un altro dato rilevante è che, in questi ultimi trent’anni, l’infertilità maschile è raddoppiata. Si stimano, in pratica, 2 milioni di italiani con una capacità riproduttiva inferiore al normale, ovvero con una riduzione degli spermatozooi al di sotto dei 15 milioni e della motilità inferiore al 40%. Colpa degli stili di vita sbagliati.

 

Per prima cosa occorre fare lo spermiogramma per aumentare del 50% successo PMA

È di fondamentale importanza, quindi, richiedere un consulto andrologico e, come prima cosa, sottoporsi allo spermiogramma (analisi del liquido seminale). In questo modo già il 50% delle coppie può essere indirizzato a svolgere indagini successive, evitando, magari, inutili trattamenti di procreazione medicalmente assistita o, al contrario, ricorrendo a quelli ottimali e più specifici migliorando del 50% le probabilità di esito positivo.

 

Una coppia è considerata sterile quando non riesce ad ottenere un concepimento dopo 12 mesi di rapporti non protetti. Il 56% delle coppie concepisce in 1 mese. Il 78% entro 6 mesi. L’86% entro il 12 mese.

Sino a non molti anni addietro si riteneva che la causa della sterilità di coppia fosse da imputare quasi esclusivamente alla donna. Negli ultimi anni si è visto come almeno nel 50% la causa è da ricondurre all’uomo. Le cause della sterilità maschile sono molteplici.

Studi recenti hanno dimostrato che l’età paterna avanzata è associata a ridotta fertilità, complicazioni della gravidanza e patologie nei figli. L’età avanzata paterna influenza negativamente la concentrazione degli ormoni e di conseguenza la quantità e la qualità degli spermatozoi. Altre cause di sterilità maschile sono il fumo di sigaretta, il sovrappeso, le infezioni sessualmente trasmissibili, prima fra tutte la clamidia, lo stress, l’inquinamento ambientale.

Per risolvere il problema della sterilità maschile sono stati proposti negli anni numerosi trattamenti a base di ormoni( fsh – testosterone) e di integratori vitaminici. Tra questi ultimi vi è una sostanza che in questi ultimi anni sta diventando sempre più importante nel trattamento della sterilità maschile.

Si tratta dell’inositolo. L’inositolo è classificato come un componente del complesso vitaminico d anche se non si può definire propriamente un a vitamina in quanto è possibile una sua sintesi da parte del corpo umano .

Già negli anni 50 si era notato che il liquido seminale è una delle fonti più ricche di Inoditolo. I primi studi che ipotizzarono un ruolo dell’inositolo nella maturazione degli spermatozoi risalgono al 1964. Da allora gli studi su inositolo e sterilità maschile si sono moltiplicati. Le ricerche si sono indirizzate su due principali filoni: il primo ha approfondito gli effetti dell’implementazione nella dieta di inositolo, mettendo in luce come la sua assunzione, meglio se in associazione con altre sostanze, che giocano un ruolo nella terapia della sterilità, come lo zinco e l acido folico, migliora la concentrazione la morfologia e la motilità degli spermatozoi.

Il secondo ha avuto come scopo l’uso dell’inositolo in vitro come ausilio nelle tecniche di fecondazione assistita: si è potuto notare che l’aggiunta di inositolo migliora anche in vitro la motilità rettilinea degli spermatozoi.

In conclusione si può affermare che mentre sino a poco tempo fa gli effetti dell’inositolo sulla fertilità erano concentrati esclusivamente alla funzione ovarica soprattutto nella paziente con ovaio micropolicistico, in termini di insulino resistenza, tasso di ovulazione, e qualità ovocitaria, negli ultimi anni si è accertato che l’inositolo ha un ruolo importante anche nella prevenzione e nella terapia della sterilità maschile.

 

Dott. Pietro Ardito

 

 

Cosa accade a livello psicologico alle donne che, dopo uno o due anni di tentativi per via naturale di rimanere incinta, ricevono una diagnosi di infertilità? Quali emozioni? Quali difficoltà o resistenze psicologiche se decidono di affrontare un percorso di PMA? E qual è il ruolo del compagno nel supportare la donna in questo difficile cammino?

I problemi che alcune donne incontrano nel realizzare il desiderio di maternità possono comportare conseguenze psicologiche molto importanti. La difficoltà a procreare obbliga la donna a fare i conti con un grembo vuoto, con l’assenza di un bambino fantasticato, mai arrivato. L’insuccesso procreativo pone la donna di fronte alla necessità di elaborare un lutto della possibilità di generare un prolungamento di se stessa e del desiderio di continuità. Il compagno potrebbe aiutarla a contenere tali angosce e a mantenerla concentrata sulla consapevolezza dell’unione della coppia nonostante le difficoltà.

Una delle conseguenze psicologiche all’infertilità è la perdita di sintonia con il partner. Capita che il compagno, inizialmente, venga vissuto dalla donna come una figura sullo sfondo, incapace di sintonizzarsi sul proprio dolore, ed ella, chiusa nella ricerca pervasiva di un figlio, inizia a escluderlo dal turbinio delle proprie emozioni, vivendosi completamente sola all’interno del percorso della ricerca di un figlio.

Tuttavia, dopo un’iniziale fase di disperazione e di silenzio, la coppia inizia a confrontarsi sul problema e a riflettere sul da farsi. In questa seconda fase si collocano le prime indagini diagnostiche e i primi contatti con lo specialista di procreazione medicalmente assistita (PMA) al quale spetta, a volte, l’ingrato compito di comunicare l’infertilità e/o sterilità della coppia. Le conseguenze psicologiche di una diagnosi d’infertilità e le ripercussioni che questi percorsi comportano hanno un impatto diverso sulla persona a seconda della diagnosi, della dolorosità e dell’invasività delle procedure diagnostiche nella sfera più intima della coppia. Ammettere di essere impossibilitati a completare il progetto di coppia in senso procreativo significa per entrambi i partner entrare in contatto con i vissuti depressivi legati alla consapevolezza della perdita.

Angosce abbandoniche e aridità: ecco alcune tra le conseguenze psicologiche di una diagnosi d’infertilità

Le conseguenze psicologiche di una diagnosi d’infertilità sono rappresentate nella donna innanzitutto da manifestazioni quali il viversi come un corpo deteriorato, contemporaneamente, emergono angosce di tipo abbandonico, senso d’inconsistenza, di aridità associate a sensazioni di rabbia, di depressione, inferiorità e mancanza di desiderio (Martinelli, 1999). Il compagno ha il compito di aiutare la donna ad affrontare il percorso della PMA come una difficoltà che rafforzerà comunque la coppia stessa. La difficoltà dovrebbe unire i due partner, proprio perché nelle difficoltà si hanno le opportunità di sostenersi, consolarsi, aiutarsi oltre una routine, dove tutto avviene senza ostacoli.

Dottoressa Petrozzi

Il 9 aprile 2014 la Corte Costituzionale ha dato il via libera alla fecondazione eterologa in Italia, attraverso una modifica (sentenza 162) delle linee guida previste in materia di Pma: quando uno dei due partner è sterile, è possibile arrivare a una gravidanza attraverso l’utilizzo di un gamete, un ovulo o uno spermatozoo, di una terza persona, cioè il donatore.

L’accesso alla fecondazione eterologa è stata inserita dalle varie regioni nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) e prevede per la coppia il pagamento di un ticket. Il permesso legislativo di accedere alla fecondazione eterologa apre un nuovo scenario emotivo per le coppie. Se fino a qualche anno fa, per una coppia impossibilita a procreare, la legge prevedeva come unico diritto alla genitorialità l’adozione e/o l’affidamento (Legge 149/2001), questo ampliamento di orizzonti sconvolge, in un certo senso, la psicologia della coppia sterile.

A questo punto dobbiamo chiederci: quali fasi emotive precedono la scelta del percorso da intraprendere?

Che differenze ci sono sul piano emotivo tra adottare un bambino oppure procreare un figlio attraverso fecondazione eterologa? L’adozione è davvero un’alternativa all’eterologa?

 

L’adozione è davvero un’alternativa all’eterologa se si ha “fretta” di avere un figlio?

Sempre più spesso capita di incontrare nei percorsi di Pma coppie che hanno avviato contemporaneamente anche le pratiche dell’adozione. Solitamente sono persone che, prese dalla fretta di avere un bambino, sottovalutano le differenze psicologiche che esistono tra adottare un bambino oppure procreare un figlio attraverso la fecondazione eterologa.

Il desiderio di un figlio si struttura attorno a un’assenza che confonde questo desiderio con l’urgenza del bisogno di superare l’isolamento per l’esclusione dal ciclo naturale nascita-procreazione-morte. Affiancare le coppie, nell’approfondire i vissuti e le motivazioni che sottostanno alla scelta da effettuare, è importantissimo per prevenire una serie di ripercussioni emotive negative che potrebbero nascere da una scelta frettolosa o addirittura sbagliata.

L’adozione è davvero un’alternativa all’eterologa? Fecondazione eterologa e adozione sono due strade con il medesimo obiettivo ma con vissuti psicologici correlati in parte simili e in parte molto diversi.

 

Cosa suscita in una coppia un bimbo generato altrove? L’adozione è davvero un’alternativa all’eterologa?

Adottare un figlio significa, in termini emotivi, rinunciare innanzitutto ad avere un figlio biologico a tutti i costi; rinunciare all’esperienza della gravidanza intesa come “avere una pancia” e rinunciare, molto spesso, a vivere l’esperienza di avere un figlio neonato. Desiderare un figlio generato altrove, che porta con sé un pezzo di storia non condivisa, suscita spesso nel genitore adottivo fantasie sui genitori biologici, sulla sua storia di origine che talvolta minacciano lo sviluppo del legame di appartenenza genitore-figlio.

In questo senso rimane aperta la domanda: l’adozione è davvero un’alternativa all’eterologa?

 

Dottoressa Petrozzi

L’invecchiamento in un uomo influisce sulla qualità del liquido seminale?

Non c’è una prova inconfutabile che l’avanzare dell’età dell’uomo possa portare alla sterilità, cosa che invece è ben nota e assodata per le donne. Resta comunque vero che la presenza di altre malattie che si presentano durante l’invecchiamento possano in qualche modo influenzare i parametri del liquido seminale: pare infatti che si verifichi una diminuzione del volume spermatico ed un’alterazione della concentrazione  degli spermatozoi.

 

L’utilizzo di farmaci influisce sulla qualità del liquido seminale?

L’utilizzo di farmaci prima dell’esame del liquido seminale può influenzare il risultato dello spermiogramma. Alcune categorie di medicinali, infatti, fungono da inibitori della spermatogenesi, ovvero il processo di maturazione delle cellule germinali maschili, alterando i risultati dell’analisi. Le terapie di lunga durata con Antibiotici, Cortisone, Ranitidina (utilizzata nei farmaci per il reflusso gastroesofageo e l’ulcera gastrica) Acido Acetilsalicilico (Aspirina) devono essere segnalate e si consiglia di ripetere l’esame a distanza di tempo (2/3 mesi).

 

Dovendosi sottoporre ad un trattamento chemioterapico, cosa è consigliabile fare?

I chemioterapici possono avere effetti mutageni sul materiale genetico (DNA) degli spermatozoi e pertanto è consigliabile effettuare delle raccolte di liquido seminale prima di sottoporsi alla chemioterapia: i campione verranno crioconservati, in attesa di poterli eventualmente utilizzare.

 

Le preoccupazioni del lavoro, della situazione familiare e di tutto il percorso che si affronta per cercare di avere un figlio incidono sul liquido seminale?

Lo stress viene definito “il male del secolo”, ed il percorso della Procreazione Assistita è una via tortuosa che senza dubbio aggiunge stress a quello che già normalmente una persona deve affrontare durante la vita. Spesso il partner maschile non estranea le sue preoccupazioni, mostrandosi apparentemente calmo e quasi distaccato. Non è così: lo stress c’è ed alterazioni, anche evidenti, dei parametri del liquido seminale possono esserne la prova. Concentrazione, motilità sono i primi che ne risentono. La maggior parte dei Centri di PMA per questo motivo fornisce un adeguato supporto psicologico, con esperti del settore, che permetta anche al partner maschile di affrontare al meglio la propria situazione.

Dott.ssa Zicchina