Autore: Redazione

Che il fumo di sigaretta fosse un nemico della fertilità femminile e un ostacolo al concepimento “naturale” è un’informazione consolidata e nota a tutti. Ma che le sigarette potessero essere un elemento nocivo anche per il successo di una gravidanza ottenibile attraverso le tecniche di fecondazione assistita non era una deduzione così scontata e immediata.

Lo studio

Uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Gynecological Obstretics Human Reproduction mette in luce gli effetti fortemente dannosi delle sigarette sull’esito delle tecniche di fecondazione assistita se la donna è fumatrice anche quando si sottopone a queste procedure.

Lo studio ha preso in esame 28 ricerche cliniche pubblicate in lingua inglese. Complessivamente, i dati di questi studi oggetto dell’analisi si riferivano a 5.009 donne fumatrici che si erano sottoposte a tecniche di fecondazione assistita e a 10.078 donne non fumatrici ricorse anch’esse a queste procedure per ottenere una gravidanza.

I risultati

L’analisi dei dati evidenzia con chiarezza quanto il fumo di sigaretta incida negativamente sul successo delle tecniche di fecondazione assistita e sul conseguente conseguimento della gravidanza. In particolare, i dati dimostrano che nelle donne fumatrici – rispetto alle non fumatrici – sono riscontrabili esiti significativamente negativi ed esprimibili come:

  1. riduzione significativa del tasso di nascite di neonati vivi;
  2. riduzione significativa del tasso di gravidanze cliniche;
  3. riduzione significativa del numero di ovociti recuperati;
  4. riduzione significativa del tasso medio di fertilizzazione;
  5. aumento significativo del tasso di aborti spontanei per gravidanza.

In sostanza, lo studio condotto su questa ampia casistica dimostra che nelle donne il fumo di sigaretta non solo è causa d’infertilità ma ha anche un impatto significativamente negativo sugli esiti delle tecniche di fecondazione assistita.

Tale evidenza pone quindi le basi scientifiche per raccomandare fortemente alle donne di smettere di fumare sia in generale per questioni salutistiche sia per quelle che devono sottoporsi alle tecniche di fecondazione assistita: smettendo di fumare prima di sottoporsi a queste procedure procreative, le donne potranno difatti trarre enormi benefici, con maggior successo e probabilità di rimanere incinta e di coronare il desiderio di maternità.

 

Fonte

Zhang RP et al. The effects of maternal cigarette smoking on pregnancy outcomes using assisted reproduction technologies: an updated meta-analysis. J Gynecol Obstet Hum Reprod 2018. doi: 10.1016/j.jogoh.2018.08.004.

Preservare la fertilità sia femminile sia maschile oggi è possibile, grazie a procedure innovative. Sembra semplice, ma in realtà si tratta di procedure delicate, gestite da professionisti estremamente qualificati nell’ambito della medicina della riproduzione. Il percorso terapeutico per poter prelevare gli ovociti della donna, ad esempio, prevede alcuni step.

Ne abbiamo parlato con la Prof.ssa Alessandra Andrisani, MD PhD, ObGyn.

La preservazione della fertilità

La preservazione della fertilità è una procedura medica innovativa. É disponibile grazie alle recenti acquisizioni ed ai miglioramenti di competenze nel campo delle tecniche di crioconservazione di materiale biologico. Grazie a questa tecnologia, attualmente è possibile crioconservare i gameti (ovociti e spermatozoi) ed il tessuto gonadico. Il fine è di aumentare la probabilità di ottenere una gravidanza ed esaudire il proprio desiderio di genitorialità nel momento in cui dovessero esservi delle difficoltà ad ottenerla spontaneamente.

Oncofertility e Social freezing

Come la scienza e la medicina possono aiutare le persone a preservare la loro fertilità? Attraverso la “oncofertility” ed il “social freezing”.

Con il termine oncofertility, si intendono le procedure terapeutiche di preservazione della fertilità in donne che sono affette da patologie oncologiche. In senso lato, di tutte le persone affette da quelle patologie che, di per sé o a causa delle cure previste per il loro trattamento, hanno effetti negativi diretti o indiretti sulla fertilità.

Tra le terapie più frequentemente responsabili di danno alla fertilità vi sono: chemioterapia, chirurgia e radioterapia.

Non va dimenticato il tempo necessario per la cura, che comporta un invecchiamento del paziente nell’attesa della completa guarigione.

  • Gli ovociti sono molto sensibili all’azione di alcuni chemioterapici e possono subirne, in relazione al tipo, alla dose e al tempo di utilizzo, una riduzione o perdita irreversibile. Nei casi più gravi, infatti, quando l’entità del danno è a carico di tutte le cellule dell’ovaio, si può instaurare una condizione di “insufficienza prematura della funzione dell’ovaio”. Questa condizione, iatrogena, è caratterizzata da una mancanza di ovociti indispensabili per la riproduzione, con un danno grave, se non irreversibile, sulla fertilità
  • Similmente, la terapia chirurgica per patologie delle ovaie può danneggiarne la funzione, inducendo una drastica riduzione del tessuto sano
  • Infine, anche la radioterapia può danneggiare gravemente e irrimediabilmente la funzione ovarica quando coinvolge la regione della pelvi, dove sono alloggiati gli organi genitali femminili.

Tutti i precedenti trattamenti possono, quindi, comportare una menopausa precoce e, di conseguenza, infertilità.

Quando si parla di “social freezing”, invece, si fa riferimento ad una tecnica di “prevenzione dell’infertilità età-correlata”. Vi si sottopongono in particolare donne che per motivi personali (studio, lavoro, assenza di un partner) vogliono preservare la fertilità e ricercare una gravidanza più avanti nel tempo, quando fisiologicamente sarebbe meno probabile ottenerla.

Crioconservazione degli ovociti: la procedura

La crioconservazione ovocitaria è attualmente la tecnica più utilizzata sia per l’oncofertilità che per il social freezing nella popolazione femminile.

In Italia, in caso di malattia oncologica, viene proposta a tutte le pazienti con un’adeguata riserva follicolare che hanno la possibilità di posticipare il trattamento chemioterapico di 2-3 settimane.

Per poter prelevare gli ovociti della donna, il percorso terapeutico prevede i seguenti step:

  • Stimolazione ovarica controllata alla paziente vengono prescritti farmaci che stimolano la crescita dei follicoli ovarici, allo scopo di ottenere più ovociti possibili e di controllare il momento dell’ovulazione. In particolare, la somministrazione dei farmaci avviene giornalmente e la donna andrà incontro ad una serrata valutazione clinica, ecografica e ormonale. Questa fase dura generalmente 10-15 giorni.
  • Prelievo degli ovociti (Pick-up ovocitario) – tutti i follicoli ovarici cresciuti durante la stimolazione ormonale vengono punti e aspirati con un ago per via trans-vaginale sotto controllo ecografico. All’interno del liquido prelevato dai follicoli si trovano gli ovociti, e il biologo li ricercherà al microscopio. L’intervento chirurgico dura circa 15-20 minuti ed è effettuato in sedazione.
  • Crioconservazione ovocitario – prima della crioconservazione, gli ovociti in adeguata fase di maturazione vengono identificati tramite decoronazione (ovvero rimozione della zona pellucida esterna). Essi verranno poi crioconservati mediante tecnica di vitrificazione con azoto liquido. Riguardo la procedura di crioconservazione, le ultime evidenze supportano l’idea che non vi siano sostanziali differenze tra la qualità degli ovociti crioconservati e quelli freschi. Tuttavia, i dati in letteratura scientifica non sono ancora risolutivi.
  • Scongelamento ovocitario – nel caso in cui la donna decida di utilizzare i propri ovociti per ottenere una gravidanza in un secondo momento, essi verranno scongelati e fecondati in laboratorio con il seme del partner secondo la tecnica di microiniezione dello spermatozoo (ICSI). Attenzione va data al fatto che non tutti gli ovociti crioconservati risultano poi vitali al momento dello scongelamento e, in alcuni casi estremi, tutti gli ovociti scongelati possono non essere vitali.
  • Trasferimento embrionario – nel caso in cui tutti i processi precedenti abbiano portato alla creazione di almeno un embrione vitale, è possibile giungere infine al transfer dell’embrione. Tale procedura è ambulatoriale e prevede unicamente una adeguata preparazione endometriale (in ciclo spontaneo o medicato). Il tasso di successo è dipendente da numerose variabili, ma per una donna di 30 anni, in assenza di fattori genetici o maschili noti, si può attestare intorno al 30%.
Probabilità di successo della crioconservazione degli ovociti

La probabilità di successo di un ciclo di preservazione della fertilità è essenzialmente collegata alla riserva ovarica e, quindi, alla eventuale risposta alla stimolazione ovarica controllata. Ovvero, quanto più le ovaie risponderanno alla stimolazione con la crescita di follicoli, quanti più ovociti verranno potenzialmente crioconservati. E quanti più ovociti la donna avrà, tanto più alta sarà la probabilità di ottenere una gravidanza in futuro.

Generalmente si ritiene che il tentativo di preservazione della fertilità sia andato a buon fine se si congelano almeno 10 ovociti. Tale probabilità, ovviamente, si riduce progressivamente con la riduzione del numero di ovociti recuperati.

La crioconservazione del tessuto ovarico

In alternativa, è possibile ricorrere alla crioconservazione di tessuto ovarico.

La tecnica

La tecnica di crioconservazione di tessuto ovarico non è più considerata sperimentale dall’American Society of Reproductive Medicine nell’ambito adulto dal 2019. Nella popolazione pediatrica, invece, i dati di efficacia sono ancora limitati.  Questa tecnica rappresenta l’unica opzione di preservazione della fertilità, sia per le pazienti prepubere sia per tutte le pazienti in cui non sia possibile la stimolazione follicolare (per controindicazioni mediche o mancanza di tempo).

La crioconservazione di tessuto ovarico richiede, in tempi diversi, due interventi chirurgici (espianto e reimpianto di tessuto ovarico), preferibilmente effettuati tramite chirurgia laparoscopica.

Il reimpianto del tessuto ovarico

Comunemente il reimpianto di tessuto ovarico può essere eseguito per promuovere la fertilità quando le pazienti sono pronte a concepire. Il reimpianto può essere ortotopico (si crea chirurgicamente una piccola tasca dove alloggiare il tessuto reimpiantato all’interno dell’ovaio) o eterotopico (più frequentemente a livello dell’avambraccio). In generale, è stato osservato che, dopo il reimpianto, la funzione ovarica riprende tra i 60 e i 240 giorni e può durare fino a 7 anni.

Potenzialmente, il reimpianto ortotopico potrebbe consentire anche la ripresa della funzionalità ovarica e l’insorgenza di una gravidanza spontanea, senza ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Esiste una legittima preoccupazione per quanto riguarda la potenziale reintroduzione di cellule tumorali in seguito a trapianto di tessuto ovarico in pazienti oncologiche. Per le conoscenze attuali, relativamente al rischio di contaminazione è possibile solo stratificare le neoplasie come ad alto, medio o basso rischio di colonizzazione del tessuto ovarico da parte delle cellule neoplastiche e quindi è possibile dare solo un’indicazione generica sulla sicurezza del reimpianto del tessuto ovarico.

L’infertilità, definita come l’assenza di concepimento spontaneo dopo 1 anno di rapporti non protetti, colpisce il 15-20% delle coppie e fattori maschili sono presenti in circa la metà di questi casi. Quando non si riesce a trovare la causa delle difficoltà di concepimento si parla di infertilità maschile idiopatica.

Abbiamo chiesto al Dr. Emanuele Ferrante, Endocrinologo, di spiegare cosa è l’infertilità idiopatica maschile e cosa si può fare.

Lo studio del maschio infertile

Lo studio del maschio infertile prevede l’esecuzione di numerosi esami (vedi anche gli Articoli: “Infertilità di coppia: gli esami per l’uomo”; “Infertilità maschile: possibili cause e ruolo della prevenzione”; “Infertilità maschile: le terapie”), che vengono prescritti allo scopo di riconoscere e potenzialmente risolvere le cause che conducono ad una ridotta qualità e/o quantità del liquido seminale.
Secondo il manuale della WHO (World Health Organization) del 2021, i limiti inferiori di riferimento per i parametri dell’esame del liquido seminale sono i seguenti:

  • Volume: 1.4 ml
  • Concentrazione/ml: 16×106
  • Numero/eiaculato: 39×106
  • Motilità progressiva: 30%
  • Motilità totale: 42%
  • Forme tipiche: 4%
  • Test di vitalità: 54%
L‘infertilità maschile idiopatica

Anche dopo esecuzione di tutti gli esami necessari, in una significativa quota di maschi non si riesce a trovare la causa dell’infertilità: in questi casi si parla di infertilità maschile idiopatica. A livello puramente ormonale, questo si traduce nella presenza agli esami ematici di normali livelli di testosterone e di gonadotropine (LH e FSH), gli ormoni glicoproteici prodotti dalla ghiandola ipofisi e che regolano il funzionamento del testicolo. In particolare, nel caso dell’FSH, il valore è considerato normale se inferiore a 8 IU/L.

Le possibili strategie terapeutiche

Negli ultimi anni, sulle possibili strategie terapeutiche di questa condizione è stato posto molta attenzione.

È ormai chiaro che lo stile di vita gioca un ruolo fondamentale nella salute maschile, sia generale che sessuale. Bisogna quindi correggere alcune abitudini (ridurre il consumo di alcol, ridurre l’indice di massa corporea in caso di sovrappeso/obesità, aumentare l’attività fisica e cessare il fumo) che possono ridurre il potenziale di fertilità del maschio.

Le più recenti linee guida suggeriscono inoltre, in maschi che presentano una oligozoospermia (ridotto numero di spermatozoi) e/o una astenozoospermia (ridotta motilità degli spermatozoi) idiopatica, l’utilizzo di una terapia con FSH. Molti studi hanno mostrato che questa terapia, utilizzata solitamente alla dose di 150U da somministrare sottocute 3 volte alla settimana per 3-4 mesi, è in grado di migliorare in modo significativo il numero e la motilità degli spermatozoi, determinando così – cosa più importante – un aumento sia del tasso di gravidanza spontanea che del tasso di gravidanza ottenuto mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA). Tuttavia, servono dati più precisi per determinare quale siano il dosaggio e la durata di terapia più efficaci nel migliorare il potenziale fertile.

Molta più incertezza esiste in merito all’utilizzo degli integratori a base di antiossidanti, che possono essere presi in considerazione in caso di pazienti con infertilità idiopatica ed elevato danno da stress ossidativo (che può essere stimato mediante il test di frammentazione del DNA spermatico). Questa incertezza nasce dalla diversa composizione dei molti integratori presenti in commercio e dall’alto grado di eterogeneità dei dati pubblicati in letteratura.

Il counseling è fondamentale

In ogni caso, è fondamentale che vi sia una collaborazione attiva tra tutte le figure professionali coinvolte (ginecologo, endocrinologo, uro-andrologo…) al fine di ottimizzare le tempistiche dei diversi interventi terapeutici e delle eventuali tecniche di PMA, dato che nelle problematiche relative alla fertilità di coppia il fattore tempo riveste un ruolo cruciale.

 

Bibliografia di riferimento

Ferlin A, Calogero AE, Krausz C, Lombardo F, Paoli D, Rago R, Scarica C, Simoni M, Foresta C, Rochira V, Sbardella E, Francavilla S, Corona G. Management of male factor infertility: position statement from the Italian Society of Andrology and Sexual Medicine (SIAMS) : Endorsing Organization: Italian Society of Embryology, Reproduction, and Research (SIERR). J Endocrinol Invest. 2022 May;45(5):1085-1113. doi: 10.1007/s40618-022-01741-6. Epub 2022 Jan 24. PMID: 35075609.

Santi D, Crépieux P, Reiter E, Spaggiari G, Brigante G, Casarini L, Rochira V, Simoni M. Follicle-stimulating Hormone (FSH) Action on Spermatogenesis: A Focus on Physiological and Therapeutic Roles. J Clin Med. 2020 Apr 3;9(4):1014. doi: 10.3390/jcm9041014. PMID: 32260182; PMCID: PMC7230878.

Simoni M, Brigante G, Rochira V, Santi D, Casarini L. Prospects for FSH Treatment of Male Infertility. J Clin Endocrinol Metab. 2020 Jul 1;105(7):dgaa243. doi: 10.1210/clinem/dgaa243. PMID: 32374828.

WHO Laboratory Manual for the Examination and Processing of Human Semen, Sixth ed. 2021

Una volta eseguita correttamente la diagnosi di ipogonadismo (vedi l’articolo: “Ipogonadismo nel maschio: diagnosi e principali cause”), il passo successivo riguarda la decisione in merito all’inizio di una terapia sostitutiva, che ha lo scopo di migliorare i segni e i sintomi legati alla carenza ormonale.
I dubbi e le preoccupazioni dei pazienti in merito a questo argomento sono molti: facciamo il punto con il Dr. Emanuele Ferrante, Endocrinologo.

Quale terapia?

Solo nei casi in cui ci sia desiderio da parte del paziente di mantenere la fertilità, si opterà per una terapia a base di gonadotropine (vedi articolo “Infertilità maschile: le terapie”).

Nella maggior parte dei casi, la terapia si basa invece sulla somministrazione di testosterone, ossia l’ormone prodotto dal testicolo sotto stimolo delle gonadotropine (LH e FSH) rilasciate dall’ipofisi.

Prima di cominciare una terapia a base di testosterone, andranno tenuti in considerazione e presentati con chiarezza al paziente quelli che sono i possibili benefici e i rischi connessi alla terapia sostitutiva.

Cosa raccomandano le Linee Guida

Secondo le attuali linee guida, è opportuno valutare e riconoscere quelle condizioni che rappresentano una controindicazione alla terapia con testosterone:

  • Tumore della prostata e della mammella: la presenza di una patologia neoplastica già in atto al momento della diagnosi preclude la possibilità di iniziare la terapia con testosterone. In tutti gli altri casi, è opportuna una valutazione basale [esplorazione rettale, palpazione della mammella, dosaggio del PSA (antigene prostatico specifico)] prima di iniziare la terapia per escludere la presenza di fattori di rischio significativi (noduli palpabili, elevati valori di PSA) che richiedono ulteriori approfondimenti.
  • Elevazione dell’ematocrito: l’ematocrito è un esame del sangue che misura la percentuale del volume sanguigno occupata dai globuli rossi e può essere facilmente valutato con un prelievo del sangue (emocromo). La terapia sostitutiva con testosterone è controindicata quando elevati livelli di ematocrito (compresi tra il 50 e il 54%) sono presenti prima dell’inizio della terapia stessa e non deve essere proseguita se i livelli di ematocrito salgono oltre il 54%.
  • Insufficienza cardiaca: la terapia non va iniziata in presenza di una insufficienza cardiaca cronica di grado severo o in caso di infarto del miocardio avvenuto nei 6 mesi precedenti.
  • Sintomi da ostruzione delle basse vie urinarie: in modo analogo, in presenza di sintomi severi ostruttivi delle basse vie urinarie (disturbi del riempimento e dello svuotamento vescicale, disturbi post-minzionali) la terapia è controindicata dalla maggior parte delle linee guida, sebbene non sia dimostrato che la somministrazione di testosterone peggiori questi sintomi.
  • Sindrome delle apnee notturne: la terapia non deve essere iniziata in presenza di sindrome delle apnee notturne di grado severo non in trattamento.
Le terapie utilizzate in Italia

Eseguite le valutazioni basali ed esclusa la presenza di controindicazioni, è quindi possibile iniziare la terapia sostitutiva. In Italia si utilizzano preparati iniettabili intramuscolo a breve o lunga durata d’azione (fiale, da somministrare ogni 2-4 settimane oppure ogni 10-14 settimane, rispettivamente), oppure formulazioni in gel da applicare per via transdermica tutti i giorni, preferibilmente al mattino.

Rispetto ai preparati iniettabili a breve durata d’azione, con i quali i livelli di testosterone risultano molto variabili nelle diverse settimane successive all’esecuzione della terapia, le altre formulazioni garantiscono livelli più stabili del testosterone nel sangue.

I parametri da monitorare nel corso della terapia

Dopo l’inizio della terapia, è ovviamente necessario monitorare i livelli di testosterone totale nel sangue, con modalità che differiscono a seconda della preparazione farmaceutica scelta (in linea generale, al termine del periodo di intervallo tra due fiale oppure 2-4 ore dopo l’applicazione del gel).

Insieme ai livelli di testosterone, bisogna periodicamente raccogliere alcuni parametri già descritti in precedenza (livelli di ematocrito dopo 3, 6, 12 mesi dall’inizio della terapia e quindi ogni 12 mesi; PSA ed esplorazione rettale tra i 3 e i 12 mesi dall’inizio della terapia, quindi secondo linee guida per lo screening della popolazione maschile) per verificare l’eventuale comparsa di effetti collaterali che rappresentano una controindicazione alla prosecuzione del trattamento.

Profilo di sicurezza ed efficacia della terapia sostitutiva

Se correttamente prescritta e monitorata, la terapia sostitutiva con testosterone è sicura ed efficace e si è dimostrata in grado di migliorare i segni/sintomi tipici della carenza ormonale, sia dal punto di vista sessuale che dal punto di vista fisico e psicologico. La comparsa dei benefici varia da poche settimane (miglioramento del desiderio sessuale) a molti mesi (miglioramento della disfunzione erettile e della composizione corporea, aumento della densità minerale ossea), motivo per il quale la risposta alla terapia va valutata con tempistiche appropriate e con un’ottica di lungo periodo.

 

Bibliografia di riferimento

Bhasin S, Brito JP, Cunningham GR, Hayes FJ, Hodis HN, Matsumoto AM, Snyder PJ, Swerdloff RS, Wu FC, Yialamas MA. Testosterone Therapy in Men With Hypogonadism: An Endocrine Society Clinical Practice Guideline. J Clin Endocrinol Metab. 2018 May 1;103(5):1715-1744. doi: 10.1210/jc.2018-00229. PMID: 29562364.

Lunenfeld B, Mskhalaya G, Zitzmann M, Corona G, Arver S, Kalinchenko S, Tishova Y, Morgentaler A. Recommendations on the diagnosis, treatment and monitoring of testosterone deficiency in men. Aging Male. 2021 Dec;24(1):119-138. doi: 10.1080/13685538.2021.1962840. PMID: 34396893.

Barbonetti A, D’Andrea S, Francavilla S. Testosterone replacement therapy. Andrology. 2020 Nov;8(6):1551-1566. doi: 10.1111/andr.12774. Epub 2020 Mar 9. PMID: 32068334.

Salonia A, Bettocchi C, Boeri L, Capogrosso P, Carvalho J, Cilesiz NC, Cocci A, Corona G, Dimitropoulos K, Gül M, Hatzichristodoulou G, Jones TH, Kadioglu A, Martínez Salamanca JI, Milenkovic U, Modgil V, Russo GI, Serefoglu EC, Tharakan T, Verze P, Minhas S; EAU Working Group on Male Sexual and Reproductive Health. European Association of Urology Guidelines on Sexual and Reproductive Health-2021 Update: Male Sexual Dysfunction. Eur Urol. 2021 Sep;80(3):333-357. doi: 10.1016/j.eururo.2021.06.007. Epub 2021 Jun 26. PMID: 34183196.

Jayasena CN, Anderson RA, Llahana S, Barth JH, MacKenzie F, Wilkes S, Smith N, Sooriakumaran P, Minhas S, Wu FCW, Tomlinson J, Quinton R. Society for Endocrinology guidelines for testosterone replacement therapy in male hypogonadism. Clin Endocrinol (Oxf). 2022 Feb;96(2):200-219. doi: 10.1111/cen.14633. Epub 2021 Nov 22. PMID: 34811785.

 

La diagnosi di ipogonadismo maschile è ancora oggi un momento molto delicato, ma assolutamente fondamentale per le implicazioni terapeutiche, di follow-up e di carico emotivo sul paziente. Cerchiamo quindi di fare chiarezza su quelle che sono le attuali indicazioni che sono fornite dalle linee guida al fine di arrivare ad una diagnosi corretta di questa patologia.

Ne parliamo con il Dr. Emanuele Ferrante, Endocrinologo.

L’ipogonadismo maschile

L’ipogonadismo maschile è una sindrome clinica e biochimica caratterizzata da bassi livelli di testosterone (l’ormone sessuale maschile), che può influire negativamente su molte funzioni dell’organismo e sulla qualità della vita.

Quando si approccia alla diagnosi di ipogonadismo maschile, bisognerà pertanto tenere in considerazione sia gli aspetti clinici che quelli biochimici, che devono essere sempre entrambi valutati.

I principali segni e sintomi

Dal punto di vista clinico, i principali segni e sintomi legati all’ipogonadismo sono i seguenti:

  • Disordini della sfera sessuale:
    • Calo del desiderio sessuale
    • Disfunzione erettile
    • Riduzione delle erezioni spontanee mattutine
  • Disordini fisici e psicologici:
    • Astenia (stanchezza)
    • Facile affaticabilità muscolare
    • Ridotta capacità di eseguire attività fisica
    • Deflessione del tono dell’umore

Tuttavia, la presenza di sintomi che possono ricondurre ad un sospetto di ipogonadismo non è sufficiente a confermare la diagnosi e a indicare la necessità di un trattamento sostitutivo.

È invece necessario confermare la contestuale presenza di un’alterazioni biochimica.

La diagnosi biochimica

La diagnosi biochimica si fonda sul dosaggio dei livelli di testosterone totale, che va eseguito al mattino a digiuno, tra le ore 7 e le ore 11. Tuttavia, è importante confermare la presenza di bassi livelli di questo ormone in una seconda occasione, poiché le variazioni giornaliere del testosterone sono tali che non rendono sufficientemente attendibile la diagnosi eseguita su un singolo prelievo.

Inoltre, è giusto ricordare che il testosterone totale rappresenta la somma del testosterone libero e di quello legato alle proteine di trasporto (in particolare SHBG – sex hormone binding globulin – e albumina). Rispetto al totale, solo il 2-4% del testosterone circolante è presente nella forma libera. Nei casi in cui i livelli di testosterone totale risultino incerti o nei casi in cui siano presenti delle altre condizioni che possano ridurre (obesità, diabete mellito tipo 2, ipotiroidismo) o aumentare (età avanzata, infezione da HIV, uso di farmaci antiepilettici, ipertiroidismo) le concentrazioni di SHBG, è opportuno completare la diagnosi biochimica dosando il testosterone libero.

In quest’ambito, tutte le linee guida sono concordi nello sconsigliare il dosaggio diretto del Testosterone libero, in quanto i dosaggi oggi disponibili sono inaccurati. Piuttosto, è opportuno utilizzare un algoritmo matematico, liberamente accessibile, che stima la concentrazione libera dell’ormone a partire dai livelli di testosterone totale, SHBG e albumina.

Capire l’origine dell’ipogonadismo

Una volta confermata la presenza di bassi livelli di testosterone (totale e/o libero), un altro passo fondamentale è capire l’origine dell’ipogonadismo. In linea generale, bassi livelli di testosterone possono essere associati ad elevati livelli di gonadotropine (LH e FSH), due ormoni prodotti da una ghiandola che si chiama ipofisi, in un quadro che richiama un danno del testicolo e che viene classificato come ipogonadismo ipergonadotropo o ipogonadismo primario. Oppure, possono essere associati a ridotti livelli di gonadotropine, che indicano un danno a livello dell’ipofisi e che caratterizzano il quadro di ipogonadismo ipogonadotropo (o ipogonadismo secondario).

Questa prima classificazione deve poi guidare alla successiva esecuzione degli esami necessari a condurre ad una definitiva caratterizzazione della causa dell’ipogonadismo.

Le principali cause

Le principali cause di ipogonadismo sono le seguenti:

  • Ipogonadismo primario:
    • Sindrome di Klinefelter
    • Criptorchidismo
    • Traumi/infezioni/interventi testicolari
    • Età avanzata
  • Ipogonadismo secondario:
    • Tumori o malattie infiltrative dell’area ipotalamo/ipofisaria
    • Iperprolattinemia
    • Malattie sistemiche (obesità, insufficienza d’organo)
    • Terapia steroidea cronica
    • Forme idiopatiche

Da questo rapido excursus, risulta chiaro che la diagnosi di ipogonadismo è tutt’altro che semplice e che il maschio che presenta uno o più sintomi riferibili a questa patologia debba rivolgersi ad uno specialista che possa guidarlo ad un adeguato iter diagnostico, al fine di inquadrare e riconoscere correttamente un disordine che ha una così importante influenza sulla salute del maschio.

 

Bibliografia di riferimento

Bhasin S, Brito JP, Cunningham GR, Hayes FJ, Hodis HN, Matsumoto AM, Snyder PJ, Swerdloff RS, Wu FC, Yialamas MA. Testosterone Therapy in Men With Hypogonadism: An Endocrine Society Clinical Practice Guideline. J Clin Endocrinol Metab. 2018 May 1;103(5):1715-1744. doi: 10.1210/jc.2018-00229. PMID: 29562364.

Barbonetti A, D’Andrea S, Francavilla S. Testosterone replacement therapy. Andrology. 2020 Nov;8(6):1551-1566. doi: 10.1111/andr.12774. Epub 2020 Mar 9. PMID: 32068334.

Lunenfeld B, Mskhalaya G, Zitzmann M, Corona G, Arver S, Kalinchenko S, Tishova Y, Morgentaler A. Recommendations on the diagnosis, treatment and monitoring of testosterone deficiency in men. Aging Male. 2021 Dec;24(1):119-138. doi: 10.1080/13685538.2021.1962840. PMID: 34396893.

Salonia A, Bettocchi C, Boeri L, Capogrosso P, Carvalho J, Cilesiz NC, Cocci A, Corona G, Dimitropoulos K, Gül M, Hatzichristodoulou G, Jones TH, Kadioglu A, Martínez Salamanca JI, Milenkovic U, Modgil V, Russo GI, Serefoglu EC, Tharakan T, Verze P, Minhas S; EAU Working Group on Male Sexual and Reproductive Health. European Association of Urology Guidelines on Sexual and Reproductive Health-2021 Update: Male Sexual Dysfunction. Eur Urol. 2021 Sep;80(3):333-357. doi: 10.1016/j.eururo.2021.06.007. Epub 2021 Jun 26. PMID: 34183196.

Quando una coppia decide di affidarsi alla medicina della riproduzione e alla PMA, procreazione medicalmente assistita, inizia un vero e proprio percorso, da affrontare passo dopo passo. Le tappe sono numerose e talvolta non chiare. Ne abbiamo parlato con il Dottor Marco Galletta, ginecologo, esperto di infertilità di coppia e Procreazione Medicalmente Assistita.

Il cammino della procreazione assistita può essere diviso sostanzialmente in due percorsi. Un primo percorso inizia quando la coppia infertile si avvicina ad un centro di PMA.

Il primo colloquio

Durante il primo colloquio preconcezionale lo specialista ginecologo raccoglie tutte le informazioni sulla coppia: fattori di rischio, l’età dei partner, gli eventuali esami già in possesso, i mesi di ricerca della prole. Ciò consente allo specialista di valutare la situazione clinica complessiva della coppia e di pianificare l’iter diagnostico terapeutico.

Gli esami

Uomini e donne, naturalmente, eseguono esami differenti.
Quelli per la donna, generalmente sono:

  1. Una visita ginecologica con ecografia, per valutare la riserva ovarica e studiare l’apparato genitale interno ed eventuali anomalie ormonali (mediante studio ormonale ed ecografico)
  2. Il Pap-Test
  3. Un tampone cervico-vaginale eseguito mediante tamponi cervicali (di cui uno specifico per Clamydia e tamponi vaginali per la diagnosi di germi comuni, streptococco agalactie, trichomonas vaginalis, gardnerella vaginalis, micoplasma hominis, ureoplasma urealyticum, N. gonorrea)
  4. Esami del sangue per i Markers virali: Anti-HIV-1,2, HBsAg, Anti-HBc, Anti-HCV Ab, Treponema pallidum, toxoplasma, CMV

I partner maschili eseguono:

  1. Le analisi quantitative e funzionali del campione seminale: spermiogramma e spermiocoltura (Clamydia, germi comuni, streptococco agalactie, trichomonas vaginalis, gardnerella vaginalis, micoplasma hominis, ureoplasma urealyticum, N.gonorrea)
  2. Esami del sangue per i Markers virali: Anti-HIV-1,2, HBsAg, Anti-HBc, Anti-HCV Ab, Treponema pallidum, CMV
  3. Se il singolo caso lo richiede, viene eseguita una visita urologica-andrologica

Se già in questa fase l’analisi della documentazione medica fornita si rivelasse chiara ed esaustiva, verrà comunicata alla coppia la eventuale diagnosi di infertilità e la successiva proposta terapeutica.

Oppure, il medico prescriverà gli ulteriori accertamenti ritenuti necessari, che completeranno la cartella clinica in modo da formulare alla coppia una diagnosi e una proposta terapeutica nel corso del secondo colloquio.

Supporto psicologico

Come previsto dalla Legge 40/2004 ogni centro di Procreazione Medicalmente Assistita, dovrebbe poter offrire un supporto psicologico alle coppie.

Il colloquio è caldamente consigliato, per:

  • assistere la coppia prima e durante la procedura;
  • aiutare l’elaborazione del lutto in caso di insuccesso della procedura;
  • sostenere la coppia nella scelta di affrontare altri tentativi o di scegliere strade diverse.

Con il secondo colloquio, la coppia si addentra nelle varie fasi relative alle tecniche proposte, sempre affiancata dallo staff medico specializzato nella medicina della riproduzione.

TECNICHE DI PMA DI I LIVELLO

Inseminazione intrauterina (IUI)

La tecnica IUI consiste nella deposizione del liquido seminale in vari tratti dell’apparato genitale femminile, per facilitare l’incontro del gamete maschile e femminile qualora questo non sia ostacolato da lesioni tubariche o pelviche.

L’obiettivo di questa tecnica è aumentare le probabilità di fecondazione stimolando una crescita follicolare multipla e bypassare il canale cervicale, talvolta sede della causa della sterilità. Inoltre, si mira ad avvicinare i gameti alla sede naturale della fecondazione.

Le indicazioni per l’adozione di questa tecnica sono:

  • Sterilità inspiegata
  • Infertilità maschile di grado lieve-moderato
  • Endometriosi I-II stadio e casi selezionati di III-IV stadio della classificazione AFS (American Fertility Society) in particolare dopo intervento chirurgico
  • Ripetuti insuccessi di induzione della gravidanza con stimolazione dell’ovulazione e rapporti mirati
  • Patologie sessuali e coitali che non hanno trovato giovamento dall’inseminazione intracervicale semplice
  • Fattore cervicale

Sedi dell’inseminazione:

  • in vagina (inseminazione intravaginale);
  • nel canale cervicale (inseminazione intracervicale);
  • nella cavità uterina (inseminazione intrauterina).

La coppia viene esaminata, quindi, preliminarmente sia sotto l’aspetto ginecologico, andrologico ed anche di salute generale.

Condizioni indispensabili per effettuare la tecnica IUI sono dunque:

  • Pervietà tubarica
  • Cavità uterina esente da patologie
  • Presenza di un adeguato indice di fertilità maschile richiesto per l’attuazione delle tecniche summenzionate
  • Età della partner femminile non superiore ai 43 anni

TECNICHE DI PMA DI II LIVELLO

Le tecniche di secondo livello prevedono che la fecondazione dell’ovocita avvenga al di fuori del corpo umano e presentano una maggiore invasività.

Fase della stimolazione ormonale.

 E’ prevista una fase iniziale della durata di circa 15 gg di stimolazione, con somministrazione di farmaci e relativo monitoraggio ecografico ed ormonale.

L’obiettivo è di indurre una crescita follicolare multipla, per avere un congruo numero di ovociti da fecondare e conseguentemente di embrioni.  Esistono differenti tipologie di protocolli di stimolazione: lungo , corto, mild, Dual stim, scelti in base alla situazione clinica della paziente e la diagnosi effettuata.

I farmaci utilizzati possono essere  diversi: se necessaria la sincronizzazione per la stimolazione ovarica si utlizzano preparati estroprogestinici, (pillola anticoncezionale), il citrato di clomifene (un antiestrogeno) le gonadotropine (FSH ricombinante alfa/beta/delta, Lh ricombinante, HMG, e la Corifollitropina.

Dopo aver spiegato le modalità di somministrazione si procede al monitoraggio ecografico transvaginale della crescita follicolare, associato ai prelievi ormonali.

A seconda del protocollo utilizzato,  prima o durante la stimolazione si utilizzano dei farmaci analoghi/antagonisti del GnRH onde prevenire o ritardare il prematuro picco di LH endogeno responsabile di un’eventuale ovulazione precoce.

Quando lo sviluppo dei follicoli avrà raggiunto circa i 17-18 mm di diametro sarà indotta la maturazione finale ovocitaria o con gonadotropina corionica o agonista del GnRH, se durante il percorso sono emerse indicazioni differenti.

Fase della raccolta e preparazione del liquido seminale

Il giorno in cui si effettua il prelievo ovocitario si invita il partner alla produzione del liquido seminale, anche se in alcuni casi può essere precedentemente crioconservato, o estratto dal testicolo e/o epididimo tramite recupero chirurgico (Pesa, Tesa). Lo sperma verrà trattato con metodiche atte ad indurre la capacità fecondante degli spermatozoi.

Fase del prelievo ovocitario

Si tratta di una procedura chirurgica di basso livello di invasività in cui si procede all’aspirazione dei follicoli ovarici per il recupero degli ovociti. La procedura viene eseguita con un ago montato sulla sonda transvaginale attraverso una guida da biopsia, sotto guida ecografica.

In questa sede non si tratteranno eventuali complicanze del percorso sia farmacologico che chirurgico femminile/maschile, o della possibilità di crioconservazione dei gameti maschili o femminili.

Fase della inseminazione ovocitaria

Descritta la prima fase comune, gli ovociti vengono inseminati con metodiche diverse, che vediamo qui di seguito.

Fivet

La tecnica Fivet è normalmente scelta in caso di occlusione tubarica bilaterale. In questo caso, si procede con la preparazione del liquido seminale.

Capacitazione liquido seminale con tecniche di PMA

Se il liquido seminale risulta idoneo alla FIV, si procede con la alla fase di inseminazione extracorporea che normalmente avviene nelle vie genitali femminili. Il liquido seminale viene aggiunto alla coltura contenente gli ovociti prelevati in precedenza, procedendo.

Gli ovociti vengono riportati in incubazione per altre 24/48 ore e procederanno nel loro sviluppo effettuando due/tre divisioni cellulari (2, 4, 8 cellule). Se si desidera effettuare il transfer allo stadio di blastocisti, gli embrioni rimarranno fino alla trasformazione in blastocisti (giorni utili: +5, +6, +7).

ICSI (Iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo)

Le indicazioni sono sostanzialmente legate alle caratteristiche del liquido seminale, o alla storia riproduttiva della coppia intesa come pregressi fallimenti di FIV.

Mediante osservazione al microspopio viene selezionato lo spermatozoo ritenuto idoneo e microiniettato all’interno dell’ovocita. Questo viene prima decumulato ossia vengono asportate le cellule del cumulo ooforo, circa due ore dopo il prelievo, in modo da ottenere una valutazione realistica della morfologia ovocitaria e maturità nucleare. Normalmente solo gli ovociti maturi in Metafase II, con evidente corpuscolo polare, vengono considerati idonei ed utilizzati.

Fase dello sviluppo embrionario

Circa 18 ore dopo l’inseminazione, l’embriologo valuterà al microscopio l’avvenuta fertilizzazione – siamo allo stadio di zigote – che, se avvenuta in modo regolare, evidenzierà la presenza di due pronuclei e si proseguirà con il monitoraggio della coltura ad intervalli regolari.

Se venisse evidenziata un’anomalia della fertilizzazione che porti allo sviluppo di un embrione non compatibile con la vita post natale, l’equipe comunicherà alla coppia l’anomalia dello stesso il cui sviluppo verrà seguito fino al suo naturale estinguersi in accordo alla normativa vigente.

Dopo ulteriori 24 ore si valuteranno lo sviluppo embrionario, il numero di blastomeri, se simmetrici o no, e la percentuale di frammenti prodotti.

Al massimo, la coltura viene prolungata fino a 120 ore, ossia fino allo stadio di blastocisti la cui valutazione si basa sempre su criteri morfologici (Massa cellulare interna, trofoectoderma). In casi selezionati e precedentemente discussi, è questa la fase in cui viene eseguita la biopsia embrionaria per la Diagnosi Genetica pre-impianto.

Normalmente si propone di proseguire la coltura fino allo stadio di blastocisti in base al numero di embrioni evolutivi in day 2 e relativa morfologia.

Transfer: può essere effettuato al giorno +2 (48 ore) con embrioni a 2/4 cellule; a giorno +3 (72 ore) con embrioni a 6/8 cellule; raramente a giorno +4 (96 ore) allo stadio di morula; a giorno +5, (> 120 ore) con embrioni allo stadio di blastocisti. A transfer eseguito, ci si accerta che non vi siano rimasti embrioni adesi alle pareti del catetere utilizzato.

Fase dell’embriotransfer

Come già indicato, tra i 2/5 gg dal prelievo ovocitario si esegue il trasferimento degli embrioni utilizzando un catetere transcervicale. Secondo le principali Società Scientifiche, il Gold standard è il trasferimento di due embrioni, per ottenere una gravidanza.

Il numero viene deciso preventivamente dal medico in accordo con la coppia nel rispetto della vigente normativa.

Se al 5° giorno ci fossero embrioni sovrannumerari, potranno essere crioconservati.

 

Riassunto delle fasi in precedenza descritte

progetto-iside-le-fasi-della-pma
Le Fasi della PMA (grafica adattata da https://www.reproduccionasistida.org/reproduccion-asistida/)

La fertilità non è eterna. Alzi la mano chi non lo sa… Spesso, però, ce ne rendiamo conto veramente quando è già compromessa. Eppure, qualcosa possiamo fare a tutela della nostra fertilità.

Ne parliamo con la Prof.ssa Alessandra Andrisani, MD PhD, ObGyn.

I dati dell’ISS

Dati pubblicati nell’ultimo resoconto dell’ISS evidenziano come la sterilità sia una patologia che oramai ha acquisito le dimensioni di un vero e proprio problema sociale, che interessa circa il 20% della popolazione in età fertile nel mondo. Vale la pena ricordare che, solo nel nostro paese, circa il 3% delle nascite avviene grazie ai trattamenti di Procreazione Medicalmente Assistita.

La Tutela della Salute riproduttiva è stata addirittura oggetto di una campagna del Ministero della Sanità. Nel 2015, infatti, ha strutturato un piano finalizzato ad informare i cittadini sul ruolo della fertilità nella loro vita, fornire assistenza sanitaria qualificata per difendere la fertilità (interventi di prevenzione e diagnosi precoce), preservare la fertilità naturale dei soggetti e sviluppare nelle persone la conoscenza del “funzionamento della fertilità” così da poterla utilizzare scegliendo di avere un figlio consapevolmente ed autonomamente.

Il razionale della preservazione della fertilità

In questo contesto, il razionale della preservazione della fertilità si sviluppa in due possibili scenari:

  • La tutela della salute riproduttiva, intesa come prevenzione, in pazienti affetti da una patologia oncologica, cronica e/o che necessiti di cure tempestive, con un impatto diretto o indiretto sulla funzionalità del sistema riproduttivo, che possono ritardare o affliggere la ricerca di una futura gravidanza (in particolare malattie oncologiche, malattie autoimmuni che richiedano l’uso di farmaci chemioterapici, endometriosi…).
  • La tutela della fertilità per quelle donne che per motivi personali (studio, lavoro, assenza di un partner stabile…) non desiderino immediatamente una gravidanza ma desiderino comunque garantirsi una ragionevole probabilità di poter realizzare in futuro il loro progetto di famiglia. Tale condizione prende il nome di preservazione della fertilità per motivi sociali o “social freezing”.
Il ruolo dell’età della donna

Tutta la letteratura scientifica è oramai concorde nell’affermare che l’età, in particolare per la donna, si associ ad una progressiva perdita del potenziale riproduttivo. Infatti, il livello di fertilità della donna raggiunge l’apice tra i 20 e i 27 anni. Dopo i 35 anni, invece, si manifesta un netto declino nella qualità delle cellule uovo.

Sebbene la tecnologia medica abbia reso possibile la gravidanza a donne di quarant’anni e più (persino di 50), si tratta, in generale, di gravidanze in cui si è fatto ricorso a ovuli donati da donne molto più giovani. Questo fenomeno è estremamente fuorviante perché agli occhi della popolazione generale, una donna resta fertile in misura normale fino ad età in cui, nella realtà, è altamente improbabile l’ottenimento di una gravidanza spontanea, o quantomeno con i propri ovociti.

Per dare un’idea più concreta, si stima che la probabilità di concepimento quando i partner di una coppia sono coetanei e dopo un anno di rapporti sessuali non protetti sia: a 20 anni il 90%, a 30 anni il 70%, a 35 anni il 55%, a 40 anni il 45% e a 45 anni il 6%. A di sopra di questo limite di età, le gravidanze spontanee o con ovociti della donna sono aneddotiche.

Anche la fertilità maschile è età-dipendente?

Non solo la fertilità femminile è età-dipendente, ma anche quella maschile. L’età, infatti, gioca un ruolo chiave anche per il futuro papà. Stando ai risultati dello Studio Nazionale Fertilità promosso dal Ministero della salute e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, ben nove persone su dieci ignorano questa importante informazione. Inoltre, non sono consapevoli del fatto che se l’uomo ha superato i 35 anni di età, potrebbe incontrare delle difficoltà nel diventare padre. Dai 30 anni in poi il calo dell’ormone testosterone è pari all’1% all’anno.

La produzione fisiologica di spermatozoi prosegue per tutta la vita dell’uomo, dalla pubertà alla vecchiaia, ma è soggetta a un calo naturale, parallelamente all’invecchiamento. Purtroppo però molti maschi non lo sanno e pensano, sbagliando, che il loro potenziale riproduttivo sia immutabile per sempre.

Secondo uno studio dell’ISS pubblicato dal Ministero della Salute, solo il 5% tra più di 20000 persone ascoltate, è risultato consapevole che l’orologio biologico femminile subisce un pesante impatto già dopo i 30 anni, mentre il 27% ritarda questo momento di 10 anni o più.

La stessa mancanza di consapevolezza riguarda anche il sesso maschile. Ben pochi sanno che l’età gioca un ruolo importante anche per la fertilità maschile: per 4 giovani studenti dell’università su 10 l’orologio biologico maschile non esiste affatto, il 10% dichiara di non saperlo, la quota restante attribuisce alla fertilità maschile tempi più lunghi.

La fertilità non è eterna e va tutelata

In questo scenario come comportarsi se si desidera realizzare il proprio progetto di famiglia?

  1. È importante acquisire la consapevolezza che la fertilità sia maschile che femminile non è eterna, bensì è fortemente correlata con l’età, per cui l’ideale sarebbe cercare una gravidanza prima del compimento dei 35 anni. Oltre a questo, è fondamentale la “Tutela della salute Riproduttiva”: è cioè importante acquisire le conoscenze e la consapevolezza che corrette abitudini e stili di vita sono fondamentali per salvaguardare il nostro potenziale riproduttivo.
Tutelare la salute riproduttiva: qualche consiglio
  • Alimentazione corretta – Una corretta alimentazione fin dalla prima infanzia ed un adeguato peso corporeo si associano ad una migliore fertilità. È oramai noto che nella donna l’obesità si associa ad alterazioni del ciclo mestruale fino alla completa assenza di ovulazione con conseguente amenorrea, e spesso anche ad un aumentato rischio di aborti; nell’uomo invece si associa ad una riduzione dei livelli di testosterone ematico e ad alterazioni del liquido seminale. Una riduzione di peso corporeo di almeno il 6% sembra determinare nel 70% dei casi un recupero ottimale della fertilità. Danni analoghi all’obesità sono quelli dovuti ad una eccessiva magrezza.
  • Sessualità responsabile – Anche banali infezioni, se trascurate, possono comportare conseguenze negative a lungo termine sulla fertilità. Un atteggiamento responsabile verso la sessualità, e l’utilizzo di contraccettivi di barriera come il profilattico può aiutare a prevenire tali condizioni. Inoltre, sottoporsi a controlli ginecologici periodici e l’esecuzione del PAP test sono strumenti in grado di garantire una diagnosi precoce e la cura tempestiva di patologie infettive a rischio per il sistema riproduttivo.
  • Uso e abuso di alcol e sostanze stupefacentiInfine, bisogna ricordare che anche l’alcol e le sostanze stupefacenti sono fattori di rischio capaci di influenzare negativamente la salute sessuale e riproduttiva di un individuo. I cannabinoidi possono interferire con l’impianto degli embrioni e la motilità degli spermatozoi. Il consumo eccessivo di alcol, nella donna, altera i meccanismi dell’ovulazione e dello sviluppo ed impianto dell’embrione; nell’uomo, invece, danneggia i testicoli, riduce i livelli di testosterone e danneggia la maturazione degli spermatozoi.
  • Attività fisica – Lo sport, se praticato con equilibrio e costanza, è utile a garantire un buono stato di salute generale e riproduttiva. Tuttavia, sia l’eccessiva sedentarietà, sia un’attività fisica troppo intensa, possono alterare l’assetto ormonale e riproduttivo sia maschile che femminile.

Nella PMA, la ricettività endometriale e l’impianto dell’embrione sono due aspetti fondamentali. Una delle prospettive meno conosciute è il punto di vista del biologo.

Abbiamo chiesto di parlarcene alla Dottoressa Nicoletta Maxia, biologa, embriologa da 30 anni, specializzata in Genetica Medica.

PMA e ricerca scientifica

Uno degli aspetti più interessanti e nevralgici nel percorso della procreazione medicalmente assistita (PMA) è sempre stato quello dell’impianto dell’embrione che viene trasferito nell’utero materno.

Per un team di professionisti che si occupa di pma, oltre alla pratica clinica quotidiana dovrebbe essere al pari importante anche la ricerca. L’impianto dell’embrione, infatti, andrebbe trattato come oggetto di studio, soprattutto personalizzandolo.

Studio della ricettività endometriale

Alcuni studi di citomorfologia all’università di Cagliari sono stati determinanti per comprendere meglio la morfologia endometriale durante le fasi del ciclo mestruale della donna. Tali studi sono stati condotti analizzando il tessuto d’impianto con la tecnica della microscopia elettronica (SEM).

In base a tale esperienza di ricerca è mia opinione che nel gruppo di pazienti con ripetuti fallimenti bisognerebbe studiare e personalizzare il timing o finestra d’impianto. Ritengo, infatti, che sia preferibile trasferire gli embrioni solo dopo aver determinato le 48 h circa o comunque avvicinarsi al migliore stadio di ricettività per la singola paziente.

Nel 2013 tali studi hanno portato alla realizzazione di un brevetto di cui sono inventrice.[1]

Il ruolo dei pinopodi

I pinopodi sono particolari “formazioni” cellulari che rivestono la superficie più esterna dell’endometrio. Lo studio dei pinopodi è un valido metodo biologico per la valutazione della recettività uterina: in che modo? Determinandone il grado di sviluppo (estroflessione) e la quantità presente.[2]

Dall’analisi dei pinopodi, la letteratura suggerisce che ci sia una correlazione fra:

  • numerosità dei pinopodi, massima estroflessione e maggiori gravidanze ottenute
  • viceversa, pazienti con ripetuti fallimenti e incapacità dell’endometrio a produrre i pinopodi.

La mia esperienza biologica consiste nello studio citomorfologico del ciclo ovarico femminile, attraverso sia un microscopio elettronico sia un invertoscopio a forti ingrandimenti a fresco (6600x).

Le fasi

Dalla fase follicolare all’ovulazione e successivamente la preparazione all’impianto con la fase luteale si caratterizzano attraverso lo sviluppo dei pinopodi.

  • Inizialmente, l’endometrio si presenta con un’esplosione di numerosi microvilli più o meno sviluppati. I microvilli creano delle “infiorescenze”.
  • Man mano che si arriva al momento ovulatorio, tali microvilli si retraggono facendo affiorare delle strutture tondeggianti (pinopodi iniziali. Ultimata l’ovulazione, i pinopodi aumentano maggiormente di numero ed estroflessione, fino a raggiungere un “PLATEAU” che definisce la migliore finestra d’impianto dell’embrione all’utero materno.
  • Da questo momento in poi, i pinopodi iniziano una debole involuzione fino ad andare in apoptosi. Ciò determina la rottura apicale delle cellule esitando successivamente in ciclo mestruale se la gravidanza non si è instaurata.
Le immagini

Queste foto di microscopia elettronica (SEM) mostrano la ciclicità uterina endometriale

L'inizio del ciclo L’inizio del ciclo

 

progetto iside inizio-della-fase-follicolare L’inizio della fase follicolare

 

La massima espressione pinopopdi La massima espressione dei pinopodi (migliore finestra di impianto)

Come calcolare il giorno del pick-up ovocitario?

Dal punto di vista biologico, l’analisi dei pinopodi consente di calcolare il giorno del pick-up ovocitario. Attraverso il prelievo di endometrio (leggera pipelle) effettuato il giorno del pick-up (mentre la paziente dorme, sotto anestesia) si stabilisce in che fase si trova e quale sarebbe il timing più idoneo per il transfer dell’embrione mantenuto in coltura.

Questa analisi è fondamentale nei casi di ripetuti fallimenti nell’impianto ma può essere proposta anche in un ciclo spontaneo (in occasione di un transfer da embrione crioconservato) non stimolato. In questo caso, la pipelle viene eseguita in fase ovulatoria. Naturalmente va esclusa la possibilità di una gravidanza possibile in atto.

Ogni paziente ha la sua migliore finestra di impianto

La valutazione della migliore finestra d’impianto va assolutamente fatta per la singola paziente. Occorre tenere presente che se si volesse trasferire per la stessa paziente su un ciclo stimolato, bisognerebbe anticipare di 24 h ore la finestra d’impianto e quindi il trasferimento dell’embrione (dati di letteratura).

In aggiunta, si potrebbe anche unire la valutazione del dosaggio del progesterone dal punto di vista endocrinologico.

Quanto descritto potrebbe essere considerato un valido metodo per stabilire con maggiore attendibilità la giusta “implantation window”, per poter trasferire l’embrione nell’utero materno nel momento di massima recettività.

L’obiettivo, naturalmente, anche per il biologo, è aumentare la percentuale di gravidanza attraverso le tecniche di procreazione medicalmente assistita.

[1] (nicoletta maxia patent)

[2] Nikas and Aghejanova et al, 2002.