La diagnosi pre-impianto è una procedura che permette di identificare la presenza di malattie ereditarie in fasi molto precoci dello sviluppo, 5 o 6 giorni dopo la fecondazione.
Con questa tecnica è possibile individuare oltre 10 mila malattie genetiche tra cui la fibrosi cistica, la talassemia, la sindrome dell’X-fragile e la distrofia muscolare di Duchenne-Becker.
“Oltre il 95% di queste patologie non ha una cura specifica – spiega il genetista Antonio Capalbo – nonostante siano molto rare, hanno una prevalenza totale stimata intorno l’1% nella popolazione generale”.
Attualmente, in base alla legge 40, la diagnosi preimpianto è accessibile solo a chi effettua Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) in quanto fertile mentre non lo è per le coppie fertili ma potenzialmente portatrici di malattie rare.
Un’ulteriore procedura di controllo chiamata PGS, permette di individuare gli embrioni con un corretto numero di cromosomi, consentendo quindi di ridurre il numero di aborti spontanei ed aumentando l’efficienza della fecondazione assistita. Questa tipologia di screening è indicata in particolare per le donne over 35, in cui aumenta notevolmente il tasso di frequenza di anomalie cromosomiche, e nelle coppie con alle spalle più di 3 aborti spontanei e ripetu fallimenti di impianto in cicli di PMA precedenti.
Nel 2014 solo il 17.7% dei centri di Procreazione Medicalmente Assistita in Italia è stato in grado di offrire la diagnosi genetica preimpianto alle proprie pazienti. Un dato che risulta in crescita ed in linea con la media europea.