Tecniche di preservazione della fertilità nei pazienti oncologici

V. Rambelli, Responsabile del Servizio di Fisiopatologia della Riproduzione Umana – Ospedale Umberto I di Lugo (Ravenna)

In Italia circa il 3 % dei tumori è diagnosticato in persone di età inferiore ai 40 anni e quindi in età potenzialmente fertile; si tratta di quasi 8.000 nuovi casi all’anno. I progressi nei trattamenti antiblastici hanno migliorato enormemente i tassi di sopravvivenza anche in questi giovani pazienti, ma studi di popolazione hanno dimostrato una riduzione del 30-50% della possibilità di ottenere una gravidanza nei soggetti sopravvissuti. Inoltre l’età media in cui si cerca una gravidanza si è spostata in avanti per varie ragioni, soprattutto socioeconomiche, ed è quindi sempre più frequente che i pazienti al momento della diagnosi oncologica non abbiano ancora avuto un figlio.

Trattamenti antitumorali e infertilità

I trattamenti oncologici sono associati ad un alto rischio di infertilità temporanea o permanente, rischio che dipende da più fattori: classe, dose e posologia del farmaco impiegato per la chemioterapia, sede e dose erogata della radioterapia, età della persona e pregressa compromissione della fertilità.

Per quanto riguarda il partner maschile gli effetti sono valutabili con uno spermiogramma, quindi con la valutazione del numero, della motilità e della morfologia degli spermatozoi presenti nel liquido seminale.

Nelle donne la fertilità può essere compromessa da un trattamento che riduce il numero di ovociti o che altera l’equilibrio ormonale delle ovaie, oppure da danni anatomici o legati ad alterazione della vascolarizzazione di tube, utero e cervice uterina.

Il danno ovarico è dovuto al fatto che i follicoli ovarici sono estremamente sensibili agli agenti chemio/radioterapici che agiscono danneggiando il DNA e riducendo il numero di follicoli primordiali. Ciò può causare un fallimento ovarico precoce (POF) con conseguente amenorrea (scomparsa delle mestruazioni) e infertilità definitiva, oppure provocare un danno parziale con riduzione del pool di follicoli primordiali tale da comportare – nonostante la ripresa delle mestruazioni – minori probabilità di gravidanza, accorciamento della vita riproduttiva e menopausa precoce.

Come già asserito, il rischio di infertilità è strettamente associato al tipo di chemioterapia e di radioterapia (classe, dose erogata, posologia del farmaco, sede del campo di irradiazione ed età del/la paziente).

Predire l’effetto tossico del singolo trattamento sulla singola paziente è però impossibile, dato che esiste un’ampia variabilità individuale. La valutazione della riserva ovarica mediante il dosaggio ematico dell’ormone anti-mulleriano (AMH) o l’esecuzione di un’ecografia che valuti il numero dei follicoli aiuta a definire la situazione pre-trattamento e quindi assume un valore predittivo sulla perdita della funzionalità ovarica a lungo termine.

Ci sono anche altre indicazioni alla preservazione della fertilità, come ad esempio per i pazienti che non hanno in programma terapie gonadotossiche ma per cui si prevede una lunga attesa prima di potere cercare una gravidanza, oppure per pazienti nelle quali è stato identificato un rischio genetico di sviluppare un tumore ovarico (come quelle BRCA-positive).

Le tecniche di preservazione della fertilità

Tecniche di preservazione della fertilità nella paziente oncologica: una volta valutato il rischio di infertilità associato ad un determinato trattamento, l’oncologo invierà la paziente presso il centro di PMA di riferimento per un counselling riproduttivo e valutare la strategia più appropriata alla preservazione della fertilità. Le principali tecniche di preservazione della fertilità nelle donne sono rappresentate da:

  1. Crioconservazione ovocitaria (embrionaria);
  2. Crioconservazione di tessuto ovarico;
  3. Soppressione gonadica con analoghi dell’LHRH (ormone di stimolo del rilascio dell’ormone luteinizzante);
  4. Trasposizione ovarica;
  5. Chirurgia conservativa.

La scelta del tipo di tecnica viene effettuata principalmente in base all’età anagrafica, alla riserva ovarica, alla diagnosi, alle condizioni del/la paziente, al tempo a disposizione prima di iniziare i trattamenti e alla possibilità reale o potenziale che la neoplasia abbia metastatizzato alle ovaie.

Crioconservazione degli ovociti

È la tecnica largamente più utilizzata ed è applicabile nei casi in cui vi siano a disposizione almeno 2-3 settimane prima dell’avvio della terapia antiblastica. Prevede 3 fasi: la stimolazione ovarica, la  raccolta degli ovociti e la loro crioconservazione.

  • STIMOLAZIONE OVARICA: si tratta di somministrare una terapia ormonale per circa 10-15 giorni con lo scopo di ottenere la maturazione di un adeguato numero di ovociti; tale stimolazione deve essere monitorata con ecografie e prelevi ematici per il dosaggio dell’estradiolo. Normalmente per iniziare la terapia occorre attendere l’arrivo del ciclo mestruale, ma nel caso in cui il tempo a disposizione sia veramente limitato sono stati messi a punto recentemente alcuni “protocolli di emergenza” che prevedono l’inizio del trattamento endocrino in qualsiasi momento del ciclo mestruale. Per le pazienti affette da tumori ormono-sensibili – la cui situazione potrebbe essere aggravata dalla terapia ormonale – sono disponibili inoltre particolari tipi di protocolli (che prevedono l’impiego di tamoxifene o letrozolo) in grado di limitare questo rischio. Al termine della stimolazione si procede al prelievo ovocitario (definito pick-up), una procedura minimamente invasiva che si esegue per via vaginale, sotto guida ecografica, in anestesia locale o generale e che dura pochi minuti.
  • CONGELAMENTO OVOCITARIO: una volta prelevati, gli ovociti sono valutati e quelli maturi vengono vitrificati, cioè congelati in azoto liquido ad una temperatura di – 196°C. Non sono definiti per legge i limiti d’età per il congelamento ovocitario, ma dopo i 40 anni il numero e qualità degli ovociti recuperabili sono tali da associarsi a probabilità di gravidanza nelle successive tecniche PMA estremamente basse.
  • CRIOCONSERVAZIONE DEGLI EMBRIONI: una volta recuperati gli ovociti è possibile fecondarli con il liquido seminale del partner, ottenendo gli embrioni e procedendo alla crioconservazione degli stessi; tale tecnica è però vietata in Italia dalla Legge 40/2004.
Crioconservazione del tessuto ovarico

Questa tecnica consiste nell’esecuzione di un’ampia biopsia ovarica bilaterale tramite intervento chirurgico (solitamente una laparoscopia) e della successiva crioconservazione di sottili striscioline di tessuto ovarico. In caso di menopausa precoce indotta dai trattamenti la paziente dovrà sottoporsi poi ad un secondo intervento per il reimpianto delle striscioline di corticale ovarica. È una tecnica considerata ancora sperimentale: basti pensare che in tutto il mondo è nato solo un centinaio di bambini dopo il reimpianto. Essa viene applicata nei casi in cui non sia possibile procedere alla crioconservazione degli ovociti per l’età della paziente, per il breve tempo a disposizione prima dell’avvio delle terapie oncologiche o per l’impossibilità di intraprendere una stimolazione ormonale.

Trasposizione ovarica

 Viene offerta alle pazienti che devono sottoporsi a radioterapia pelvica per tumori come quelli del retto o della cervice uterina, ad esempio, e consiste nel riposizionamento chirurgico delle ovaie lontano dal campo di irradiazione. Spesso si procede contestualmente anche al prelievo di tessuto ovarico da destinare alla crioconservazione.

Utilizzo di analoghi dell’LHRH in concomitanza alla chemioterapia

Contemporaneamente all’avvio della chemioterapia può essere consigliato somministrare farmaci chiamati analoghi dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH) allo scopo d’inibire l’attività ovarica e di ridurre la tossicità della chemioterapia. I farmaci antiproliferativi colpiscono infatti maggiormente i tessuti con rapido turnover cellulare, e quindi metterli “a riposo” significa in pratica proteggerli. Ma si tratta di un metodo efficace? Gli studi a proposito sono molti e gli esiti sono però controversi. Le ultime grandi metanalisi hanno tuttavia messo in evidenza una riduzione molto significativa del rischio di fallimento ovarico precoce nelle pazienti protette con analoghi: l’insorgenza di menopausa anticipata è stata quasi 3 volte inferiore nelle donne protette con gli analoghi (9,66%) rispetto a quelle sottoposte a chemioterapia senza analoghi (26,7%). In Italia, comunque, l’uso degli analoghi è stato approvato a partire dal 2016 ed è diventato pratica comune. Gli effetti collaterali sono limitati altresì limitati e reversibili e sono rappresentati dai comuni sintomi da carenza di estrogeni, come secchezza vaginale, vampate di calore e alterazioni del tono dell’umore.

 

 

Preservazione della fertilità nel paziente oncologico: i pazienti maschi che devono sottoporsi a trattamenti oncologici vengono inviati ai Centri di PMA dove possono crioconservare il loro liquido seminale. La raccolta di spermatozoi è semplice, può essere ripetuta anche più volte qualora la quantità non fossse adeguata e non comporta ritardo nell’inizio della terapia oncologica. In caso di futura infertilità il liquido seminale potrà essere poi scongelato e utilizzato con la tecnica ICSI. In assenza di spermatozoi nell’eiaculato è possibile anche effettuare un prelievo chirurgco di spermatozoi tramite una semplice biopsia dal testicolo (TESE).

La preservazione della fertilità in situazioni non oncologiche: la preservazione della fertilità può rendersi necessaria anche in alcune condizioni non oncologiche; basti pensare che nella donna vi sono patologie genetiche che comportano un importante rischio di riduzione della fertilità, quali la “sindrome dell’X fragile” alcune patologie ovariche che danneggiano il patrimonio follicolare (ad esempio  l’endometriosi) o che richiedono interventi demolitivi a livello della struttura ovarica. In questi casi le pazienti possono essere inviate preventivamente ad un Centro di PMA per la crioconservazione degli ovociti Analogamente, in campo urologico vi sono interventi e patologie che costituiscono un rischio per la futura fertilità del paziente e che rappresentano quindi un’indicazione alla crioconservazione dei gameti.

Conclusioni

Le linee guida delle maggiori Società Scientifiche di Oncologia Medica (come AIOM ed ESMO) raccomandano:

  1. l’offerta di un counselling per tutti i pazienti oncologici in età riproduttiva per
  2. valutare il desiderio di gravidanza
  3. valutare la riserva ovarica (AMH, AFC)
  4. stimare il rischio di riduzione della fertilità legato alla terapia programmata
  5. proporre le strategie disponibili per ridurre tale rischio;
  6. un percorso privilegiato che permetta di eseguire il colloquio e l’eventuale procedura il prima possibile. I pazienti dovrebbero essere inviati al Centro di PMA appena eseguita diagnosi e stadiazione;
  7. la presenza di un team multidisciplinare o comunque che preveda una comunicazione rapida ed efficace fra oncologo, ginecologo e psicologo.

 

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