Quali sono le tecniche di procreazione assistita, come vengono definite e qual’è il criterio di scelta?
Le tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) sono definite di primo, secondo e terzo livello, in base al loro grado d’invasività. È chiaro che il criterio di scelta sia strettamente correlato alla causa (o alle cause) di ipofertilità riscontrate nella coppia.
La tecnica di primo livello, definita anche inseminazione intrauterina (IUI), prevede un concepimento “in vivo”: può essere perciò applicata solo alle coppie in cui la partner femminile abbia tube pervie e verosimilmente funzionanti.
Le tecniche di secondo livello sono invece indicate nel caso in cui il ginecologo riscontri l’impossibilità di un concepimento in “vivo”. Le cause più comuni sono legate a una patologia tubarica, e/o a un campione seminale compromesso, in termini di quantità e qualità degli spermatozoi. Tali tecniche prevedono dunque un “concepimento in vitro”: da qui l’acronimo FIVET (Fecondazione in vitro) e ICSI (Iniezione Intracitoplasmatica dello Spermatozoo) che sono quelle maggiormente utilizzate.
Può accadere, per esempio, che i parametri seminali siano talmente compromessi da non far rilevare spermatozoi all’esame microscopico: potrebbe trattarsi di scarsa produzione da parte dei testicoli (Azoospermia Secretoria) oppure di produzione normale, ma di impossibilità di emissione all’esterno, per assenza o chiusura dei dotti deferenti (Azoospermia Ostruttiva). La decisione passa, in questo caso, allo specialista andrologo/urologo, che valuterà se ci sono le condizioni per un recupero mediante aspirazione percutanea dall’epididimo (PESA), oppure dal testicolo (TESA).
Qual è il ruolo del biologo nell’equipe di un centro per la PMA, sia nel cooperare nella scelta dell’opzione più adatta alla singola coppia , sia nell’indirizzare e monitorare materiali e metodi di conduzione delle diverse opzioni?
Indubbiamente le tecniche di PMA implicano un notevole impegno da parte dell’embriologo, in termini di tempo e responsabilità.
Già in fase di diagnosi, sono lo studio e la valutazione del campione seminale da parte del Biologo a fornire, al Medico Ginecologo, uno strumento essenziale nella scelta della tecnica più idonea alla coppia.
Com’è intuibile, l’impegno maggiore riguarda la fase “extracorporea” delle tecniche di II e III livello. È opportuno puntualizzare che il ruolo dell’embriologo non sta solo nella corretta esecuzione delle procedure, ma anche nella gestione e nell’organizzazione del Laboratorio: un compito che richiede vigilanza costante e attenzione a ogni minimo dettaglio.
L’embriologo infatti è responsabile dell’allestimento delle colture cellulari, con la selezione accurata di materiali e sostanze che, ricordiamo, devono entrare in contatto diretto con gameti ed embrioni.
In fase diagnostica, lo studio e la valutazione del campione seminale indicano il tipo di tecnica d’inseminazione più consono. Attenzione, però: può accadere che, il giorno previsto per l’esecuzione della procedura, il campione seminale presenti parametri non adeguati a una FIVET. Che cosa significa? Che è comunque l’embriologo a doversi assumere la responsabilità di scegliere la tecnica migliore per garantire il risultato, anche se la legge prevede un ricorso graduale alle tecniche. Occorre perciò una valutazione attenta di pro e contro e un dialogo costante e costruttivo con il clinico e la coppia. La scelta infatti non dipenderà esclusivamente dalla qualità del campione seminale.
Vengono valutati, infatti, anche il numero di tentativi già effettuati dalla coppia e, fattore importantissimo, l’età della paziente in relazione alla sua riserva ovarica.
Che cosa solo le gonadotropine? Quali possono essere utilizzate nella PMA e perchè?
La prima gravidanza ottenuta mediante fecondazione in vitro, nel 1978 (nacque la piccola Louise Brown), fu eseguita su un ciclo ovulatorio spontaneo, prelevando cioè l’unico ovocita presente normalmente nel ciclo ovulatorio della donna e trasferendo quindi un unico embrione.
I primi studi dimostrarono chiaramente come l’efficacia della tecnica aumentasse stimolando la paziente con farmaci induttori dell’ovulazione. L’obiettivo era di portare a maturazione più follicoli, prelevare di conseguenza più ovociti e quindi trasferire più embrioni, al fine di aumentare le probabilità di successo.
La prima gravidanza ottenuta in un ciclo “superstimolato” risale al 1980. Da allora, l’induzione della crescita follicolare multipla è divenuta una tappa fondamentale dei cicli di PMA. Le Gonadotropine, ormoni glicoproteici, servono proprio a questo scopo.
È opportuno ricordare sempre che, nel ciclo ovulatorio “naturale”, il ruolo delle gonadotropine è fondamentale, proprio per il loro effetto stimolante sulle gonadi (come il loro stesso nome indica). Con gonadotropine si intendono gli ormoni FSH, LH e HCG. I farmaci gonadotropinici attualmente disponibili appartengono a due categorie: le Gonadotropine Umane Menopausali, estratte dalle urine di donne in menopausa e sottoposte a processi di purificazione, e le Gonadotropine Ricombinanti, sintetizzate in laboratorio. Entrambe sono considerate sicure.
Nella tecnica dell’inseminazione intrauterina l’ausilio del biologo consiste nel selezionare e concentrare gli spermatozoi “migliori”. Il compito del ginecologo è depositarli, mediante apposito catetere, all’interno dell’utero, nell’imminenza dell’ovulazione della donna.
In genere si preferisce sottoporre la donna a una stimolazione ovarica controllata, al fine di avere più follicoli ovulatori. Il razionale della tecnica è aumentare il numero degli spermatozoi nel sito della fecondazione, superando tra l’altro anche il “filtro meccanico” rappresentato dal muco della cervice uterina e ottimizzando il “timing” dell’incontro tra gli spermatozoi e le cellule uovo prodotte.
L’inseminazione intrauterina è ovviamente rivolta alle coppie in cui il partner maschile abbia un campione seminale idoneo e la partner femminile presenti tube pervie e presumibilmente funzionanti.
Che ruolo ha la tecnologia del time-lapse nella Fecondazione Assistita?
I continui progressi ottenuti nel campo della Biologia della Riproduzione sono strettamente legati dell’evoluzione tecnologica, guidata dall’evoluzione delle conoscenze sulla fisiologia della riproduzione.
Basti pensare all’utilizzo del laser, applicato alla biopsia dell’embrione, per la diagnosi preimpianto.
Recentemente è stato messo a punto un sistema denominato “time – lapse”, che consente la costante osservazione dello sviluppo embrionario, mediante il posizionamento di piccole telecamere all’interno dell’incubatore. Ciò ha permesso l’osservazione diretta di eventi biologici cui sarebbe stato impossibile assistere e consente di eseguire i necessari e ripetuti controlli all’embrione in coltura, senza doverlo sottoporre allo stress termico/fisico/chimico richiesto dal convenzionale controllo al microscopio, necessariamente condotto dopo estrazione dell’embrione dall’incubatore.
Chi, dove e in che modo si prende cura degli embrioni in attesa del transfer?
Gli embrioni formati dall’unione degli ovociti con gli spermatozoi sono estremamente sensibili. L’operatore per eccellenza che se ne prende cura è l’embriologo. Il suo compito è fondamentalmente quello di minimizzare gli stress causati agli embrioni dalla coltura “in vitro”, ovvero fuori dall’ambiente naturale, agendo proprio sull’ambiente esterno.
Gli embrioni “in vitro” sono mantenuti in piastre contenenti dei terreni liquidi nutritivi. Ogni paziente ha la propria piastra contrassegnata con il proprio codice identificativo. Gli embrioni, nelle piastre, possono essere messi in coltura singolarmente in gocce o in gruppo nella stessa goccia. Ogni laboratorio ha per la coltura i propri protocolli standardizzati e validati. I terreni contengono nello specifico: Acqua ultrapura, Aminoacidi, Sali inorganici, Nutrienti (glucosio, piruvato, lattato), Antibiotici e Albumina Umana.
Le piastre con gli embrioni sono riposte all’interno degli incubatori, ovvero dei contenitori che mimano l’utero materno: la temperatura all’interno deve essere costante a 37°C e l’atmosfera deve avere il 5/6% di CO2.
E’ fondamentale che per assicurare una crescita ottimale degli embrioni, gli embriologi controllino che non vi siano, durante tutti gli stadi di sviluppo, eccessive variazioni di: Temperatura, pH (garantito dall’atmosfera), nutrienti.
Non da meno esposizioni prolungate alla luce ed ad alti livelli di O2 devono essere assolutamente evitate per non compromettere la buona crescita degli embrioni.
Con quali tempistiche crescono gli ovociti fecondati?
Lo sviluppo dell’embrione, che prevede la formazione di più cellule, chiamate blastomeri, coinvolge una serie di divisioni dell’ovocita fecondato.
Una regolare crescita a 2 cellule è osservata a 22-24 ore dall’inseminazione, una crescita a 4 cellule è osservata attorno alle 36-50 ore ed infine una crescita a 8 cellule viene osservata a 72 ore. Le cellule continuano ad essere ben definite e facilmente valutabili fino allo stadio di 10-12 cellule. A partire dalla quarta giornata dopo l’inseminazione l’embrione inizia a compattarsi per dare origine alla morula. Passati 5 o 6 giorni dall’inseminazione, l’embrione raggiunge lo stadio di blastocisti, in cui sono presenti circa 200 cellule.
Gli embrioni che si formano da un pool di ovociti di una stessa paziente, crescono tutti contemporaneamente dopo l’inseminazione?
Non è automatico che un pool di ovociti di una stessa paziente, una volta inseminati, dia origine ad embrioni che crescano contemporaneamente alla stessa velocità. Ci possono essere embrioni più veloci, più lenti ed embrioni che si arrestano durante la crescita. Questa differenza nello sviluppo può essere determinata da diversi fattori non solo di natura genetica, ma anche ambientali.
L’utilizzo di sofisticate tecnologie in grado di monitorare la crescita degli embrioni, ha permesso di definirlo come un’identità dinamica e soggetta a variazioni continue. Il grado di plasticità degli embrioni sembra essere una loro caratteristica intrinseca condizionata dai meccanismi di divisioni cellulari, dalla qualità del citoplasma ovocitario, dall’allineamento dei pronuclei e dalle condizioni nutritive in vitro.
Come vengono valutati gli embrioni?
I fattori più importanti della valutazione morfologica degli embrioni sono: il numero di cellule, la percentuale di frammentazioni, l’uniformità nella dimensione delle cellule e la simmetria nella disposizione delle stesse. Fondamentale è sottolineare che non esiste una diretta correlazione tra la valutazione morfologica e la percentuale di successo del trattamento: una perfetta morfologia non è sinonimo di gravidanza, così come una morfologia scadente non è sinonimo di fallimento di gravidanza. Intervengono infatti molteplici fattori oltre alla qualità dell’embrione come i livelli ormonali, lo spessore dell’endometrio e altre condizioni fisiologiche della paziente.
Quando avviene il trasferimento degli embrioni in cavità uterina?
Il trasferimento degli embrioni in cavità uterina può essere effettuato dal giorno dopo l’inseminazione fino allo stadio di blastocisti.
La decisione relativa al giorno in cui effettuare il trasferimento è dettata da diversi fattori che riguardano sia la paziente che gli embrioni. Per quanto riguarda la paziente viene valutata la sua storia clinica, il tipo di stimolazione che ha effettuato, la risposta alla suddetta stimolazione e l’età. Per quanto riguarda gli embrioni si considerano il numero e la qualità degli stessi: non tutti gli embrioni che si ottengono dall’inseminazione, infatti, riescono a crescere fino allo stadio di blastocisti.
Il trasferimento degli embrioni è una pratica dolorosa?
Il trasferimento degli embrioni in cavità uterina non è una pratica dolorosa: non prevede anestesia e dura pochi minuti. Posizionato lo speculum, tamponato leggermente il collo dell’utero con dell’acqua sterile, il ginecologo procede con l’inserimento degli embrioni attraverso un apposito catetere.
Esistono dei modi non invasivi di selezionare gli embrioni “migliori”?
La scienza che si occupa di ricercare metodi non invasivi di selezione degli embrioni è la metabolomica che studia le variazioni metaboliche delle cellule degli organismi viventi. Gli embrioni sono formati da cellule che, durante la coltura nei terreni specifici, utilizzano le sostanze nutritive rilasciando come prodotto finale i cosiddetti metaboliti.
Questo processo di rilascio porta come conseguenza delle variazioni nella composizione dei terreni stessi. Quello che ci si aspetta dunque è che analizzando i metaboliti prodotti, si possano ricavare informazioni preziose sulla vitalità, sulle potenzialità e non da meno sulle possibilità di impianto degli embrioni. I cambiamenti nel terreno sono lo specchio dunque dell’attività e dell’efficienza del metabolismo degli embrioni. Ad oggi la metabolomica rappresenta una promettente prospettiva futura, anche se sono ancora necessari studi per sviluppare un sistema standardizzato che la rendano una tecnica valida ed applicabile sul piano clinico.